“Il funzionario inadempiente commette reato”
La Sesta sezione della Corte di cassazione penale, con la sentenza n. 14466/2009 sanziona il dipendente pubblico che non è venuto incontro alle esigenze del cittadino; tale sentenza ha confermato la decisione della Corte d’appello di Palermo e del tribunale di Marsala.
Analizzando la pronuncia della Corte si può evidenziare che la condanna inflitta in primo grado all’ingegnere in questione fa riferimento all’art. 388 del Codice penale “rifiuto di atti d’ufficio”. In particolare il dipendente pubblico (davanti ad una richiesta d’informazione, fatta da un soggetto destinatario di un provvedimento di espropriazione), “non compiva, nei trenta giorni, l’atto del suo ufficio, ovvero non rispondeva per esporre le proprie ragioni del ritardo, a fronte di una specifica richiesta inoltrata…”.
Tali informazioni avrebbero consentito al soggetto in questione di “avere conoscenza dello stato di fatto e legale dell’area che avrebbe potuto ritornare nella sua proprietà”; la Corte ha posto in evidenza come il richiedente avesse compiuto tempestivamente e correttamente tutto l’iter procedimentale per poter accedere ai documenti richiesti, sottolineando che: “l’imputato ha volontariamente omesso di dare anche un benché minimo cenno di risposta alla richiesta”.
Nella pronuncia della Corte vengono messi in risalto l’interesse del ricorrente tenuto conto che l’area si trovava ancora nella disponibilità dell’Ente regionale, circostanza che renderebbe strumentale e non seria la richiesta; in riferimento a ciò la stessa Corte di cassazione sostiene: “Se il fatto va definito come accadimento di ordine naturale, dalle cui connotazioni e circostanze soggettive e oggettive, di luogo e di tempo, poste in correlazione fra loro, vengono tratti gli elementi caratterizzanti la sua qualificazione giuridica, la violazione del principio di correlazione si realizza e si manifesta solo attraverso un’alterazione della fattispecie concreta…”.
Premesso ciò possiamo definire la condotta delittuosa integrata dal mancato compimento di un atto dell’ufficio da parte del pubblico ufficiale, ossia dalla mancata esposizione delle ragioni del ritardo, entro il termine di trenta giorni dalla richiesta di chi vi ha interesse, con la conseguenza che la condotta delittuosa, omissiva propria, si intende perfezionata con la scadenza del termine stabilito.