Le sezioni unite della Corte di cassazione stabiliscono che un vuoto di otto anni non può essere giustificato dai carichi di lavoro e dal peso delle motivazioni.
I ritardi di anni nel deposito delle sentenze costituiscono una grave lesione del prestigio sia del magistrato e sia dell’ordine giudiziario; questi ritardi si pongono in contrasto con il principio della ragionevole durata del processo, sancito dall’articolo 111 della Costituzione.
La Corte nel motivare la sua decisione rileva, in riferimento all’art. 606 c.p.p. (casi di ricorso), novellato dalla legge n. 46 del 2006, ha precisato che: “il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve mirare a verificare che la pronuncia: a) deve essere effettiva e non apparente; b) non sia manifestatamene illogica, c)non sia interamente contraddittoria; d) non risulti logicamente incompatibile con gli atti del processo…”.
La Corte nella sentenza conferma la sanzione della rimozione, la più grave in assoluto, di un giudice del tribunale di Gela, che aveva impiegato otto anni per completare il deposito delle nove sentenze con cui erano stati condannati numerosi boss mafiosi. Questo maxi ritardo aveva causato la scarcerazione di alcuni dei condannati.
La pronuncia della Cassazione conferma la sanzione del Csm che aveva condannato il magistrato alla perdita dei mesi di anzianità per i ritardi accumulati nella redazione delle sentenze, pena che viene tramutata in otto anni di reclusione (pena sospesa) dal Gup di Catania.
La Corte ribadisce i seguenti principi, in tema di responsabilità disciplinare dei magistrati: “Il ritardo nel deposito dei provvedimenti, soprattutto se reiterato, sistematico e prolungato, ed oltre ogni limite di ragionevolezza, comporta di per sé lesione del prestigio sia del magistrato, sia di riflesso, dell’ordine giudiziario…i notevoli carichi di lavoro possono costituire causa di giustificazione del ritardo, ma l’efficacia scriminante di detti carichi cessa quando quel ritardo finisca per assumere la valenza di un diniego di giustizia protratto per anni”.
La Corte di cassazione si è preoccupata di assicurare all’ordine giudiziario quel prestigio di cui deve godere da parte dell’opinione pubblica e che viene meno se il magistrato si espone a condotte che sono di tale gravità da prevalere anche sulla produttività dello stesso magistrato.