Tar Campania, Napoli, Sezione II, 02 dicembre 2009, n. 8326
La previsione contenuta nell’art. 873 del Codice Civile, che regola la distanza nelle costruzioni non minore di tre metri o di altra maggiore stabilita nei regolamenti comunali, la quale ha lo scopo di evitare che tra le costruzioni si creino intercapedini antigieniche, dannose e pericolose per le parti interessate, con riflessi sull’interesse della generalità degli abitanti della zona, va integrata con l’art. 9 del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, il quale, nell’imporre la distanza di dieci metri tra costruzioni, rende illegittima ogni eventuale previsione regolamentare in contrasto con tale limite minimo.
Ai fini dell’applicazione della normativa in materia di distanze tra edifici è utile un inquadramento sulla nozione di nuova costruzione che si ottiene dalla distinzione tra ristrutturazione, che si verifica quando gli interventi sul fabbricato comportano modificazioni esclusivamente interne lasciando inalterate le componenti essenziali (muri perimetrali, strutture orizzontali e copertura) e ricostruzione, che si ha quando le componenti dell’edificio siano venute meno e il successivo intervento edilizio non abbia comportato alcuna variazione rispetto alle originarie dimensioni dell’edificio (con particolare riferimento alla volumetria, alla superficie di ingombro occupata ed all’altezza). Ne discende che, nel caso di aumento di una delle componenti ricostruite, si è in presenza di una nuova costruzione e vanno considerati gli effetti del computo delle distanze rispetto agli immobili contigui.
Per nuova costruzione, pertanto, deve intendersi non solo la realizzazione ex novo di un fabbricato, ma anche qualsiasi modificazione nelle volumetria di un fabbricato preesistente, che ne comporti l’aumento della sagoma d’ingombro e che ciò incida direttamente sugli spazi tra gli edifici esistenti. Irrilevante è la realizzazione di una maggior volumetria o l’utilizzabilità o meno della stessa ai fini abitativi. Non solo, ai fini dell’osservanza delle disposizioni in materia di distanze fra immobili, non rileva l’eventuale carattere abusivo dei fabbricati preesistenti, in quanto le norme in oggetto sono preordinate non solo alla tutela degli interessi dei frontisti ma soprattutto alla salvaguardia di esigenze generali, tra cui la salubrità e la sicurezza pubblica, e sono pertanto tassative ed inderogabili.
È stato altresì chiarito che per “pareti finestrate” di cui al punto 3), comma 1, art. 9, del D.M. aprile 1968, n. 1444, deve intendersi non soltanto le pareti munite di vedute ma, più in generale, tutte le pareti munite di aperture di qualsiasi genere verso l’esterno, quali porte, balconi, finestre di ogni tipo, di veduta o di luce), essendo sufficiente che sia finestrata anche una sola delle due pareti.
In tema di distanza fra costruzioni, inoltre, vige il regime della c.d. “doppia tutela”, che prevede che il soggetto che assume di essere stato danneggiato dalla violazione delle norme in materia è titolare, da un lato, del diritto soggettivo al risarcimento del danno o alla riduzione in pristino nei confronti dell’autore dell’attività edilizia illecita e, dall’altra, dell’interesse legittimo alla rimozione del provvedimento invalido dell’amministrazione, quando tale attività sia stata autorizzata.
Il danno derivante dalla violazione delle distanze nelle costruzioni, inoltre, consiste non solo nel deprezzamento commerciale del bene (aspetto che viene superato dalla tutela ripristinatoria) ma anche dalla indebita limitazione del pieno godimento del fondo in termini di diminuzione di amenità, comodità e tranquillità, trattandosi di effetti ugualmente suscettibili di valutazione economica e valutabile dal giudice in via equitativa a norma dell’art. 1226 c.c. (Corte di Cassazione, Sezione II Civile, 10 settembre 2009, n. 19554)
Dott.ssa Loretta Davanzo