Il consigliere comunale non può impugnare gli atti del P.G.T.
Tar Lombardia, Milano, Sezione II, 20 ottobre 2010, n. 7066
La mera veste di consigliere comunale non legittima lo stesso ad impugnare gli atti di del P.G.T. per vizi di legittimità, in quanto “la violazione di norme attinenti alla formazione degli strumenti urbanistici non si risolve nella lesione del jus officium dei consiglieri comunali che hanno preso parte all’adozione e all’approvazione dei relativi deliberati e pertanto non conferisce loro la legittimazione all’impugnativa che unicamente da una lesione siffatta può discendere”.
Si pronuncia di nuovo il T.A.R. di Milano sulla questione inerente la legittimazione all’impugnativa delle delibere dell’organo di cui fanno parte dei consiglieri comunali, laddove agiscano soltanto a tutela del principio di legalità dell’azione amministrativa.
Per consolidata giurisprudenza la legittimazione attiva dei consiglieri comunali è circoscritta alle ipotesi in cui essi agiscano a tutela del proprio munus, quando vengano, cioè, in rilievo atti che incidono direttamente sul diritto all’ufficio dei medesimi e quindi sui diritti spettanti alla carica di consigliere, con ciò provocando una lesione alla sfera giuridica o posizione propria all’interno dell’organo o dell’ente.
Solo la violazione, procedimentale o sostanziale, che comporti una menomazione alla prerogativa del consigliere comunale, legittima lo stesso all’impugnativa dell’atto lesivo; quando, ad esempio, sia leso il diritto alla conoscenza degli atti, il diritto di partecipare alle sedute dell’organo consigliare e a prendervi parola, quando siano violate attribuzioni o sfere di competenza.
Non sussiste, pertanto, la legittimazione “quando il provvedimento impugnato non incida sulle prerogative e sulle posizioni giuridiche dei consiglieri e non sia ravvisabile alcuna connessione – la sola che possa abilitare all’impugnativa – tra vizi denunciati ed esercizio del mandato”.