Commento sentenza Corte Costituzionale n. 181 del 10.06 sull’indennità di esproprio delle aree agricole.
La Corte costituzionale con la sentenza n. 181 del 10.06 u.s. ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 5-bis, comma 4 del D.L. 11.07.1992 n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, in combinato disposto con gli articoli 15, primo comma, secondo periodo, e 16, commi quinto e sesto, della legge 22 ottobre 1971, n. 865 (Programmi e coordinamento dell’edilizia residenziale pubblica; norme sulla espropriazione per pubblica utilità; modifiche e integrazioni alle leggi 17 agosto 1942, n. 1150; 18 aprile 1962, n. 167; 29 settembre 1964, n. 847; ed autorizzazione di spesa per interventi straordinari nel settore dell’edilizia residenziale, agevolata e convenzionata), come sostituiti dall’art. 14 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (Norme per la edificabilità dei suoli) e, in via consequenziale, l’illegittimità costituzionale dell’articolo 40, commi 2 e 3, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (T. U. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità).
In estrema sintesi, secondo la Corte costituzionale il criterio del valore agricolo medio previsto per le aree non edificabili, prescinde dall’area oggetto del procedimento espropriativo, assumendo, così, un carattere inevitabilmente astratto che elude il «ragionevole legame» con il valore di mercato, prescritto dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo e coerente con il “serio ristoro” richiesto dalla giurisprudenza consolidata della stessa Consulta.
In particolare la normativa censurata è dettata dall’art. 5-bis, comma 4, del d.l. n. 333 del 1992, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 359 del 1992 che, per la determinazione dell’indennità di espropriazione relativa alle aree agricole ed a quelle non suscettibili di classificazione edificatoria, rinvia alle norme di cui al titolo secondo della legge n. 865 del 1971, successive modificazioni e integrazioni. Specificamente, il rinvio è all’art. 16, commi quinto e sesto, di detta legge, come sostituiti dall’art. 14 della legge n. 10 del 1977 che, per la parte oggetto di censura, stabilisce, al quinto comma, che l’indennità di espropriazione, per le aree esterne ai centri edificati di cui all’art. 18, è commisurata al valore agricolo medio annualmente calcolato da apposite commissioni provinciali, valore corrispondente al tipo di coltura in atto nell’area da espropriare ed aggiunge, al comma sesto, che, nelle aree comprese nei centri edificati, l’indennità è commisurata al valore agricolo medio della coltura più redditizia tra quelle che, nella regione agraria in cui ricade l’area da espropriare, coprono una superficie superiore al 5 per cento di quella coltivata della regione agraria stessa.
Tale disciplina, ad avviso delle rimettenti, violerebbe l’art. 117, primo comma, Cost., nel testo introdotto dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.
La Consulta ha precisato che nella giurisprudenza costituzionale è costante l’affermazione che l’indennizzo assicurato all’espropriato dall’art. 42, terzo comma Cost., se non deve costituire una integrale riparazione per la perdita subita non può essere, tuttavia, fissato in una misura irrisoria o meramente simbolica, ma deve rappresentare un serio ristoro (ex multis: sentenze n. 173 del 1991; sentenza n. 1022 del 1988; sentenza n. 355 del 1985; sentenza n. 223 del 1983; sentenza n. 5 del 1980).
Per la determinazione del valore dell’indennizzo che possa considerarsi un “serio ristoro”, occorre fare riferimento, al valore del bene in relazione alle sue caratteristiche essenziali, fatte palesi dalla potenziale utilizzazione economica di esso, secondo legge, perché solo in tal modo può assicurarsi la congruità del ristoro spettante all’espropriato ed evitare che esso sia meramente apparente o irrisorio rispetto al valore del bene.
Analoghe conclusioni sono contemplate nella più recente sentenza n. 348 del 2007, la quale ha ribadito che «deve essere esclusa una valutazione del tutto astratta, in quanto sganciata dalle caratteristiche essenziali del bene ablato>>.
Le suddette statuizioni, peraltro, riguardano suoli edificabili: i Giudici costituzionali, tuttavia, hanno precisato che ciò non significa che esse non siano applicabili anche ai suoli agricoli ed a quelli non suscettibili di classificazione edificatoria.
Invero, l’art. 1 del primo protocollo della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nelle sue proposizioni, si riferisce con previsione chiaramente generale ai beni, senza operare distinzioni in ragione della qualitas rei e la sentenza n. 348 del 2007 della Consulta ha posto in luce che «sia la giurisprudenza della Corte costituzionale italiana sia quella della Corte europea concordano nel ritenere che il punto di riferimento per determinare l’indennità di espropriazione deve essere il valore di mercato (o venale) del bene ablato» e che non può variare secondo la natura del bene, perché in tal modo verrebbe meno l’ancoraggio al dato della realtà postulato come necessario per pervenire alla determinazione di una giusta indennità.
Il criterio di calcolo dell’indennità di espropriazione contemplato dalla normativa censurata, la quale prevede che, per i suoli agricoli e per quelli non edificabili, la detta indennità sia commisurata al valore agricolo medio del terreno, secondo la disciplina dettata dall’art. 16 della legge n. 865 del 1971 e successive modificazioni prescinde, pertanto, dall’area oggetto del procedimento espropriativo, ignorando ogni dato valutativo inerente ai requisiti specifici del bene ed assume un carattere inevitabilmente astratto che elude il «ragionevole legame» con il valore di mercato, «prescritto dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo e coerente, del resto, con il “serio ristoro” richiesto dalla giurisprudenza consolidata di questa Corte», divenendo illegittimo.
La Consulta ha ritenuto, altresì, illegittimamente costituzionale, in via consequenziale, l ’art. 40, commi 2 e 3, del d.P.R. n. 327 del 2001, recante la nuova normativa in materia di espropriazione. In quanto detta norma, che apre la sezione dedicata alla determinazione dell’indennità nel caso di esproprio di un’area non edificabile, adotta per tale determinazione, con riguardo ai commi indicati, il criterio del valore agricolo medio corrispondente al tipo di coltura prevalente nella zona o in atto nell’area da espropriare e, quindi, contiene una disciplina che riproduce quella dichiarata in contrasto con la Costituzione dalla presente sentenza.