E’ possibile la trasformazione di parte del sottotetto comune in terrazza ad uso esclusivo, a condizione che sia salvaguardata la funzione di copertura e protezione delle sottostanti strutture
Nota a Corte di Cassazione, Sezione Seconda, 03 agosto 2012, n. 14107
“Il condomino, proprietario del piano sottostante al tetto comune, può effettuare la trasformazione di una parte del tetto dell’edificio in terrazza ad uso esclusivo proprio, a condizione che sia salvaguardata, mediante opere adeguate, la funzione di copertura e protezione delle sottostanti strutture svolta dal tetto preesistente, restando così complessivamente mantenuta, per la non significativa portata della modifica, la destinazione principale del bene.”.
E’ questo il principio di diritto affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza in commento, intervenendo in materia condominiale con riferimento alle trasformazioni del sottotetto comune.
Nella fattispecie in esame la questione verteva sull’azione di rimessione in pristino proposta dai proprietari del piano terra di un edificio, nei confronti di una società proprietaria di mansarde abitabili, con parziale abbattimento del tetto ed innalzamento della parte residua di esso.
I ricorrenti censuravano la sentenza della Corte territoriale la quale sosteneva che la modifica intervenuta, consistente nel taglio della parte finale della falda di copertura su un lato con appoggio finale non più sul vecchio muro, ma su “nuovo muro perimetrale arretrato rispetto al preesistente”, costituisce uso della cosa comune consentito ex art. 1102 del Codice Civile, non avendo conseguenze dannose per gli altri condomini.
Gli Ermellini ritengono fondate le censure avanzate dai proprietari del sottotetto, ritenendo di dover ripensare alla lettura data dalla precedente giurisprudenza all’applicazione dell’istituto di cui all’art. 1102 del Codice Civile, in funzione di un favor per interventi che consentano soluzioni risolutive delle esigenze abitative.
Ciò sia in considerazione dei ripetuti precedenti giurisprudenziali favorevoli alla possibilità di aprire finestre su muri perimetrali senza che ciò costituisca abuso della cosa comune idoneo a ledere il compossesso del muro comune, sia in considerazione della facoltà di effettuare analoghi interventi avuto anche riguardo al tetto degli edifici, purché le opere effettuate siano a regola d’arte e non pregiudichino la funzione di copertura propria del tetto, né ledano i diritti degli altri condomini sul medesimo.
In altri termini, secondo il la Suprema Corte, nel caso in cui i tagli (modesti) del tetto diano luogo a modifiche non significative della consistenza del bene, in rapporto alla sua estensione e alla destinazione della modifica stessa, è possibile affermare che rientrino nell’ambito delle opere consentite al singolo condomino.
Muovendo da questi principi, secondo la Cassazione, il richiamato interesse alle esigenze abitative si ripercuote favorevolmente sulla valorizzazione della proprietà del singolo, mirando soprattutto a moderare le istanze egoistiche che sono spesso alla base degli ostacoli frapposti a modifiche delle parti comuni come quella della vicenda in esame.
Come si può leggere nella sentenza, in una visione del regime condominiale tesa a depotenziare i poteri preclusivi dei singoli e a favorire la correttezza dei rapporti non è coerente, né credibile, intendere la clausola del “pari uso della cosa comune” come veicolo per giustificare impedimenti all’estrinsecarsi delle potenzialità di godimento del singolo.
Pertanto, concludono i giudici di Piazza Cavour, qualora non siano specificamente individuabili i sacrifici in concreto imposti al condomino che si oppone, non si può proibire la modifica che costituisca uso più intenso della cosa comune da parte del singolo, anche in assenza di un beneficio collettivo derivante dalla modificazione.
Ciò che si è verificato nel caso in esame, dove la soppressione di una piccola parte del tetto, salvaguardata diversamente la funzione di copertura e realizzato nel contempo un uso più intenso da parte del condomino, non può esser intesa come alterazione della destinazione, comunque assolta dal bene nel suo complesso.