Varianti strutturali e varianti obbligatorie del piano, invalidità degli atti
Commento a Consiglio di Stato, Sezione Quarta, 15 febbraio 2013, n. 922
La pronuncia in rassegna esamina la questione relativa all’annullamento di un permesso di costruire in variante al piano regolatore generale, avversato in quanto, a detta del ricorrente in primo grado nonché ricorrente principale, era relativo alla trasformazione di una modesta costruzione, adibita ad albergo con sette camere, in una struttura di ben maggiori dimensioni.
La variante in questione, regolarmente adottata e poi approvata dal consiglio comunale, dava atto della preesistenza di quaranta camere (in luogo delle sette in realtà esistenti) e consentiva l’ampliamento degli insediamenti esistenti fino a 50 camere, anche attraverso la demolizione e successiva ricostruzione.
Sia la variante che il permesso di costruire, censuravano i ricorrenti, devono considerarsi nulli in quanto fondati sul falso presupposto della preesistenza di quaranta camere.
Inoltre l’originaria parte ricorrente censurava, con l’impugnazione, la parte di sentenza che dichiarava l’irricevibilità delle censure contenute nel mezzo di primo grado, deducendo che l’impugnativa avrebbe dovuto essere dichiarata ricevibile ed accolta in quanto la variante in oggetto non aveva natura di variante generale, ma parziale, riguardando un singolo e particolare immobile; ciò sotto il profilo dei termini per impugnare il provvedimento.
Evidenzia il collegio che costituisce jus receptum nella giurisprudenza di merito che “il termine per impugnare la variante che non è destinata a disciplinare l’intero territorio comunale, ma ha un contenuto particolare che incide in concreto soltanto su alcune aree, non decorre dalla pubblicazione della delibera regionale di approvazione e neppure dall’ultimo giorno della pubblicazione all’Albo Pretorio dell’avviso di deposito presso gli uffici comunali dei documenti relativi all’atto approvato, bensì dalla data in cui risulta che le ricorrenti medesime hanno acquisito la piena conoscenza degli atti impugnati”.
Tuttavia, sostiene il giudice dell’impugnazione, detto orientamento giurisprudenziale non può aderire alla posizione della fattispecie sottoposta al suo esame in quanto esso concerne i soggetti “direttamente interessati” dalla variante in quanto destinatari di un vincolo preordinato all’esproprio e non anche alla indifferenziata collettività che dalla variante assuma di ricevere un danno.
La variante avversata in quanto incideva su una norma di piano afferente in via di principio all’intero territorio comunale, precisa il collegio, non può definirsi “particolare”, trattandosi di una variante generale a contenuto normativo; i termini per impugnare erano pertanto già ampiamente decorsi.
Il vaglio dell’appello prosegue analizzando quanto sostiene l’appellante in merito alla dedotta nullità della variante gravata e, pertanto, censurabile in qualsiasi tempo.
Il vizio di travisamento del fatto, afferente alla preesistenza dell’albergo, sostiene il collegio, non è condivisibile neppure a livello di ipotesi in quanto, implicando la violazione di un parametro di legittimità, è sussumibile nella macrocategoria definitoria dell’eccesso di potere, soggetto pertanto all’ordinario termine decadenziale.
Le prospettate tipologie di illegittimità evidenziate dall’appellante, relative alla modalità di approvazione della variante e quella dell’asserita assenza assoluta dei presupposti di fatto e travisamento del fatto riguardo alla consistenza originaria dell’immobile, danno l’occasione al Consiglio di Stato per operare un’ampia disamina delle varianti strutturali al Piano Regolatore Generale e delle varianti obbligatorie.
Le prime non sono soggette ad autorizzazione preventiva e non richiedono la preliminare adozione di deliberazione programmatica, sono costituite dalle modifiche degli elaborati, delle norme di attuazione o di entrambi e producono diversi effetti.
Le seconde sono costituite dagli interventi necessari ad adeguare il Piano Regolatore Generale ad atti e strumenti di pianificazione statale, regionale, provinciale o comunque sovraordinata a quella comunale in forza di leggi statali e regionali o di atti amministrativi statali e regionali adottati in applicazione di dette leggi.
In ogni caso il collegio ribadisce il principio per cui “l’asserito errore sulla procedura di legge applicabile nell’approvazione della variante implica vizio di legittimità, contestabile nell’ordinario termine decadenziale” e respinge, pertanto, sul punto l’impugnazione.
Conclude poi il giudice affrontando la doglianza relativa alla nullità del provvedimento avversato per errore sul fatto dell’originaria consistenza dell’immobile e rammenta la pacifica, quanto consolidata giurisprudenza, la quale ritiene che “la categoria della nullità assume un rilievo residuale, limitato alle ipotesi di nullità testuale (espressamente comminata da una norma di legge) e ad altri casi di gravi difetti del provvedimento, tassativamente indicati dall’art. 21-septies della legge n. 241/1990. Le cause di nullità del provvedimento amministrativo devono, quindi, oggi intendersi quale numero chiuso”.
Per le suesposte ragioni viene esclusa la fondatezza dell’appello anche sul punto di radicale vizio di nullità/inesistenza della delibera, con conseguente conferma della gravata decisione.