L’INERZIA DEL COMUNE NELL’EMANAZIONE DEL TITOLO ABILITATIVO CORRISPONDE AL SILENZIO ASSENSO O AL SILENZIO RIFIUTO?
Nota a TAR Lazio n°8155 depositata il 06/09/2013.
Nel caso esaminato, la ricorrente aveva acquistato nel 2007 un terreno sul quale era in corso di realizzazione un edificio. Durante i lavori era stata presentata domanda di variante del permesso di costruire (concesso al precedente proprietario e nel quale era subentrata la ricorrente) per trasformare in parte la destinazione d’uso dell’edificio da commerciale in abitativo.
Il Comune, a lavori già ultimati, ha rigettato la richiesta di variante e conseguentemente ha intimato alla ricorrente la demolizione delle variazioni essenziali apportate con opere abusive mai autorizzate, che hanno determinato un aumento di volume ed una modifica di destinazione d’uso rispetto a quanto concesso con il titolo abilitativo originario.
Secondo parte ricorrente, non solo il provvedimento è illegittimo, perché sul permesso in variante si sarebbe già formato il silenzio assenso prima ancora dell’adozione del provvedimento stesso, ma, gli interventi eseguiti, non costituiscono neppure delle “variazioni essenziali” incompatibili con il progetto edificatorio originario rispetto ai parametri di cui all’art. 32 D.P.R. 380/2001 e come tali, soggette ad un permesso a costruire nuovo ed autonomo dall’originario ed alle sanzioni di cui all’art. 31 D.P.R. 380/2001.
I Giudici hanno rilevato che nel caso di specie non trova applicazione la nuova disposizione dell’art. 20, comma 8 del T.U. edilizia, per il quale, in applicazione del D.L. 70/2011, una volta che sia decorso inutilmente il termine per l’adozione del provvedimento conclusivo, se non è stato formulao un motivato diniego, sulla domanda di permesso di costruire si intende formato il silenzio assenso.
Nel caso specifico, in virtù del principio tempus regit actum, all’istanza avanzata dal privato si applica il previgente dettato normativo in quanto, la richiesta è stata avanzata nel 2002 ed il provvedimento del Comune risale al 2008, e quindi, prima che entrasse in vigore la modifica apportata nel 2011. Tale disposizione prevedeva che “decorso inutilmente il termine per l’adozione del provvedimento conclusivo, sulla domanda di permesso di costruire si intende formato il silenzio-rifuto”.
Il silenzio consiste nell’inerzia della Pubblica Amministrazione in merito alla mancata adozione, entro un determinato termine, del provvedimento conclusivo del procedimento iniziato con l’istanza di variante.
In questo caso, il silenzio corrisponde ad un inadempimento (c.d. “silenzio-inadempimento), in quanto l’inattività viene qualificata come atto negativo tacito per distinguerlo dal diniego che l’Amministrazione può esprimere mediante il provvedimento conclusivo della procedura anche oltre i termini prefissati per la sua adozione.
A giudizio del Tribunale quindi, tali opere, non sono solo abusive, ma costituiscono anche delle variazioni essenziali al permesso originario, rispetto alle quali il Comune ha legittimamente adottato l’ordine di demolizione.
Secondo Giurisprudenza, la variante essenziale rispetto alla concessione edilizia si ha quando le modifiche al progetto assentito concernono la sagoma, la superficie coperta, la struttura interna e la destinazione d’uso del manufatto.
In questo caso, le modifiche apportate rispetto al progetto iniziale, hanno determinato un aumento della volumetria superiore al limite di tolleranza del 2%, previsto dall’art. 34 comma 2-ter del D.P.R. 380/2001, e, come tali, costituiscono delle variazioni essenziali soggette al rilascio di permesso a costruire del tutto nuovo ed autonomo rispetto a quello originario, e per il quale valgono le disposizioni vigenti al momento di realizzazione della variante.