Sulla normativa da applicarsi all’istanza di condono in caso di “vincolo sopravvenuto”
Commento a Consiglio di Stato, 18 settembre 2013, n. 4660
Con la sentenza in epigrafe, il Consiglio di Stato ha riformato la sentenza emessa dal TAR Campania con la quale venivano annullate due note emesse dall’Ente Parco nazionale del Cilento e della Valle di Diano, le quali avevano comportato il diniego di una richiesta di condono edilizio, in quanto “l’autorità preposta alla tutela del vincolo non doveva rendere il proprio parere in quanto sull’area era stato apposto un vincolo di inedificabilità sopravvenuto rispetto alla data di realizzazione dell’abuso”.
Il Consiglio di Stato ha ritenuto, invece che qualsiasi regola urbanistica limitativa dell’edificazione, contribuendo alla salvaguardia del territorio e quindi dell’ambiente, se concerne aree sottoposte a vincolo paesaggistico, contribuisce a determinarne il regime giuridico, con la conseguenza che l’autorità statale preposta alla tutela del vincolo deve tener conto di tale regime.
Nel caso di specie, un privato cittadino presentava nel 1995 un’istanza di condono edilizio al comune, concernente l’ampliamento di un fabbricato in un’area adiacente al Parco; l’ente locale, nel corso del procedimento, richiedeva un parere all’Ente parco, il quale disponeva con nota un’integrazione documentale a carico del soggetto.
Il privato proponeva quindi ricorso al Tar avverso la nota emessa dall’Ente parco, deducendo che l’autorità non possedeva il potere di emettere alcun parere in quanto, sull’area oggetto della controversia, il vincolo di inedificabilità era stato apposto in epoca successiva all’abuso edilizio.
Il giudice amministrativo di prima istanza accoglieva il ricorso sulla base della disciplina introdotta dalla c.d. terza normativa sul condono a norma della quale “le modifiche apportate con il presente articolo concernenti l’applicazione delle leggi 28 febbraio 1985, n. 47 e 23 dicembre 1994, n. 724, non si applicano alle domande già presentate ai sensi della predetta legge”.
Secondo il Tar tale norma aveva il potere di elidere, per le domande presentate ai sensi delle leggi del 1985 e del 1994, il principio del tempus regit actum, non permettendo, quindi, l’applicazione della norma successiva in materia.
Da ciò ne derivava l’annullamento delle note emesse dall’Ente Parco nella procedura di condono edilizio de quo, dovendosi applicare le normative precedenti e non quella vigente al momento della conclusione del procedimento stesso.
Il Consiglio di Stato, accogliendo il ricorso presentato dall’Amministrazione e riformando la sentenza, fornice un’interpretazione differente della norma di cui al comma 43 bis dell’art. 32 Legge 326/2003.
Richiamando quanto stabilito in una recente pronuncia inerente un caso simile a quello oggetto del giudizio il Consiglio di Stato afferma che “il quadro normativo riconducibile alle disposizioni dei primi due condoni (di cui alle leggi n. 47 del 1985 e n. 724 del 1994) va inteso nel senso che, se nel corso del procedimento di esame della domanda di condono entra in vigore una normativa o è emesso un provvedimento, che determina la sopravvenienza di un vincolo di protezione dell’area in questione, l’autorità competente ad esaminare l’istanza di condono deve acquisire il parere della autorità preposta alla tutela del “vincolo sopravvenuto”, che deve pronunciarsi tenendo conto del quadro normativo vigente al momento in cui esercita i propri poteri consultivi”.
Secondo il Consiglio di Stato, quindi la norma in esame deve essere interpretata tenendo conto della complessiva normativa introdotta nel 2003 con il terzo condono avendo questa imposto dei limiti più rigorosi rispetto alle precedenti leggi per l’accoglimento delle domande.