Ai fini urbanistici la distinzione fra attività produttiva ed attività commerciale deve rimanere netta, nonostante l’esistenza di disposizioni che accomunano le due figure
Commento a Tar Lombardia, Milano, 11 ottobre 2013, n. 2280
La società ricorrente, nella fattispecie esaminata dal Tar Milano che si è pronunciato con la sentenza in esame, è proprietaria di un’area con destinazione produttivo –industriale situata in un comune dell’interland del capoluogo lombardo, al quale veniva fatta istanza di approvazione di un Piano Integrato di Intervento da realizzarsi sulla predetta area con, altresì, una parziale modificazione della destinazione con l’aggiunta anche dell’uso commerciale.
Il Consiglio Comunale ha, dapprima, respinto la proposta di PII e, successivamente e in sede di variante generale del vigente P.R.G., respinto l’osservazione presentata ex art. 9 della Legge 1150/1942, per le seguenti ragioni: la proposta di P.I.I. non è idonea a “garantire un generale innalzamento della qualità urbana”, è “in contrasto con gli indirizzi e le scelte effettuate dall’Amministrazione” ed è, altresì, “analoga ad altra proposta già respinta” dall’Ente.
L’esame del tribunale concentra l’attenzione sulle censure afferenti il contrasto con le scelte della P.A. e sul contrasto del PII con altro già respinto: sostiene la società ricorrente che detto contrasto non sia da considerarsi decisivo in quanto la legge regionale 9/1999 (applicabile alla fattispecie ratione temporis) ammette la possibilità che i PII apportino varianti al piano urbanistico e prevede che il documento di inquadramento non contenga prescrizioni vincolanti.
Osserva il collegio, nel respingere il motivo per infondatezza, che il documento di inquadramento definisce e fissa gli obiettivi e le linee generali cui dovranno attenersi i successivi PII e che è la stessa legge a prevedere che la delibera di approvazione del piano attuativo espressamente indichi le ragioni alla base della valutazione operata dalla PA e ciò anche alla luce della non vincolatività del documento di inquadramento ai fini dell’approvazione di singoli PII.
Tale limitazione della discrezionalità dell’amministrazione si traduce in una aggravio dell’onere motivazionale tutte le volte in cui la stessa intenda approvare un PII in contrasto con il documento di inquadramento o, al contrario, quando la proposta di PII contrasti con gli indirizzi definiti in via generale e quindi la PA intenda respingerla.
L’onere di puntuale motivazione risulta assolto dall’Amministrazione resistente, ritiene il Collegio, in quanto appare indubitabile il contrasto del PII proposto sia con le previsioni generali dello strumento urbanistico che con il documento di inquadramento, nel quale è chiara la volontà dell’Amministrazione di non voler ulteriormente espandere le aree commerciali.
Con un ulteriore motivo di censura, parte ricorrente sostiene che non è incompatibile l’insediamento di attività commerciali in aree produttivo-industriali stante la vigenza di disposizioni (D.P.R. 447/98 e D.P.R. 440/2000) che ne vedrebbe digradata la differenza.
Sostiene il Collegio, non condividendo la tesi sostenuta dalla società ricorrente, che “ai fini urbanistici, la distinzione fra attività produttiva ed attività commerciale deve rimanere netta; e ciò nonostante l’esistenza di disposizioni che accomunano invece le due figure”.
Nelle attività svolte all’interno delle aree adibite a residenza, terziaria e commerciale, ad assumere rilievo sono gli operatori, nel senso che i fabbricati che ospitano le predette funzioni si caratterizzano per una presenza umana relativamente alta e più significativa ed esprimono, dunque, un carico urbanistico maggiore.
Anche l’ultimo motivo di censura, relativo alla lamentata disparità di trattamento in riferimento ad altra ipotesi di approvazione di un diverso P.I.I., viene respinta per infondatezza dal tribunale, stante la mancata allegazione di sufficienti parametri comparativi tali da consentire una valutazione in ordine alla sussistenza dell’accusata violazione.