Nota a Consiglio di Stato, sentenza n. 5700, depositata il 28 novembre 2013
Nel caso in esame, la Società odierna appellata, era subentrata nella titolarità della concessione edilizia rilasciata nell’aprile del 2003 al suo dante causa, relativa alla realizzazione di un fabbricato per civili abitazioni, composto di quattro corpi di fabbrica con distinte scale, per la quale successivamente, aveva presentato variante al titolo abilitativo.
Tuttavia, in seguito al contenzioso sorto con la parte proprietaria del suolo confinante, era stata disposta la sospensione dei lavori, l’annullamento della d.i.a. e l’ingiunzione di demolizione delle opere, anche in esito a sopralluogo presso il cantiere dal quale era emersa una difformità dell’altezza del piano interrato (a garage) posto al confine nord e una maggior altezza di uno dei quattro corpi di fabbrica del complesso immobiliare che davano luogo ad una volumetria abusiva in quanto non conteggiata in quella assentita.
In particolare, il muro dell’edificio di cui alla lettera D realizzato sul confine, per dimensioni e caratteristiche strutturali, non presentava la natura di muro di cinta ma di manufatto costruito in violazione della distanza minima dal confine, realizzato in modo difforme al progetto assentito.
La contrapposizione tra l’appellante comune e controparte proprietaria del fondo, si concentrava principalmente sulla configurazione dei luoghi preesistente le opere al fine di inviduare il piano di campagna, e su differenti criteri di calcolo per determinare l’altezza media dell’edificio.
In sede di pubblica udienza il Consiglio, data l’incompletezza e l’inattendibilità della documentazione sulla quale in primo grado si erano svolti gli accertamenti tecnici, ha disposto una nuova verificazione per individuare l’altezza media del corpo di fabbrica oggetto di causa e dell’eventuale esubero volumetrico, ed accertare quindi la conformità tra quanto eseguito e quanto progettato in relazione al muro sul confine ed al solaio di copertura della rampa di accesso al piano cantinato destinato a garage.
A tal fine, per il calcolo delle altezze e delle quote, si doveva tener conto del piano di campagna, naturale o artificiale, quale esistente anteriormente al rilascio del titolo.
Si è quindi riscontrato che l’altezza media del corpo di fabbrica in questione risultava superiore rispetto alla metratura ammessa dal vigente PdF, ed inoltre è stata appurata la difformità tra il progetto assentito e l’opera effettivamente eseguita in quanto il muro di confine presentava un’altezza variabile superiore a quella consentita.
Il Collegio, condividendo le conclusioni del verificatore, così come l’assunto già espresso dal TAR secondo il quale l’immobile in questione era un edificio autonomo e distinto dagli altri corpi di fabbrica che componevano il compendio immobiliare (con i quali tuttavia, pur non essendo comunicanti, condivideva alcune parti in comune), ha ritenuto che la determinazione dell’altezza del corpo di fabbrica D debba essere operata tenendo conto delle sole altezze del medesimo e verificata sia in relazione alla specifica prescrizione contenuta nella concessione edilizia, sia in ragione della generale prescrizione delle N.T.A. del P.d.F.,
Nel caso di specie poiché l’edificio insite su un’area caratterizzata da dislivelli e terrazzamenti i Giudici in primo e secondo grado hanno ritenuto che, in ragione del contenuto delle N.T.A. in questione, l’altezza dell’edificio non si sarebbe dovuta calcolare dalla sommità di un terrapieno artificiale la cui realizzazione era prevista nel progetto.
Nel merito pertanto i Giudici aderiscono al principio espresso dal Consiglio di Stato con la sent. 2579 del 24 aprile 2009 secondo cui “i limiti alle altezze degli edifici previsti dagli strumenti urbanistici non possono variare a seconda della “sistemazione” che il richiedente intende dare al piano di campagna circostante con lo stesso progetto su cui chiede al Comune l’assenso, ma devono essere ancorati a dati certi e oggettivi ricavabili dalla situazione dei luoghi anteriore”.