Nota a Consiglio di Stato, sent. Nr. 616 depositata il 10 febbraio 2014
Il ricorrente del caso in esame è proprietario di un terreno compreso in un lotto più ampio che in origine era stato classificato come residenziale secondo le previsioni pianificatorie introdotte dal Piano degli Interveti.
Tale piano è stato poi oggetto di una variante in ragione del successivo accordo intercorso tra la Pubblica Amministrazione ed un privato, fondato sulla disponibilità di quest’ultimo a realizzare a proprie spese, in cambio della variazione della destinazione urbanistica dell’area in oggetto, gli interventi di risistemazione e di riqualificazione di altra area pubblica.
Parte ricorrente ha ritenuto che tale variante apportata al PI, che ha trasformato l’area da residenziale a commerciale direzionale, fosse lesiva dei suoi interessi ed in contrasto con i principi ispiratori del Piano di Assetto del territorio.
Secondo l’appelante nel caso di specie era stato violato il principio perequativo poichè le opere di riqualificazione promesse risultavano funzionalmente slegate all’area dell’intervento. Le stesse infatti si sarebbero dovute realizzare in una zona non contigua né funzionalmente collegata con il sito dove era stata pianificata la trasformazione urbanistica.
I Giudici quindi, in accoglimento delle istanze del ricorrente, hanno evidenziato come secondo Giurisprudenza costante, debba sussistere una marcata corrispondenza spaziale tra intervento edilizio e localizzazione dello standard.
Gli standard urbanistici “intesi come indicatori minimi della qualità edificatoria (e così riferiti ai limiti inderogabili di densità edilizia, di rapporti spaziali tra le costruzioni e di disponibilità di aree destinate alla fruizione collettiva)” devono essere individuati non solo sulla base di parametri dimensionali ma secondo criteri funzionali, in relazione allo scopo esplicito di valorizzare le aspettative e le esigenze della popolazione alla quale è concretamente destinata l’area oggetto di intervento.
Lo scopo della disciplina urbanistica non è la massimizzazione dell’aggressione del territorio, ma la fruizione, privata o collettiva, delle aree in modo pur sempre coerente con le aspettative di vita della popolazione che ivi risiede.
Il Consiglio di Stato (sent. 644/2013) ha affermato che la monetizzazione degli standard urbanistici, non può avere rilevanza solo nei rapporti interni tra il Comune, ed il privato che deve realizzare l’attività negoziata, poiché, così facendo, si negherebbe tutela giuridica agli interessi lesi degli abitanti dell’area, e nello stesso tempo, si attuerebbe una separazione tra i commoda (le entrate patrimoniali per l’Ente pubblico) e gli incommoda.
Pertanto i Giudici hanno concluso che la qualità edilizia deve essere valutata in base al criterio di radicamento territoriale degli standard urbanistici e quindi gli stessi “devono collocarsi spazialmente e funzionalmente in prossimità dell’area di intervento edilizio, al fine di legare strettamente commoda e incommoda della modificazione sul territorio”.