Il disposto normativo riconducibile ai commi 732, 733 e 734 della Legge n. 147/2013 (Legge di stabilità 2014), nelle more del riordino della materia che dovrà avvenire entro il 15 maggio 2014, ed in un’ottica deflattiva dei contenziosi derivanti dall’applicazione dei criteri per il calcolo dei canoni delle concessioni demaniali marittime, introduce la possibilità di definire i procedimenti giudiziari pendenti alla data del 30 settembre 2013 attinenti alla corresponsione in favore dello Stato dei canoni e degli indennizzi per l’utilizzo dei beni demaniali marittimi e delle relative pertinenze.
Precisamente, attesa la chiara littera legis della disciplina in menzione, la composizione de qua potrà avvenire mediante una duplice modalità di pagamento tra cui optare entro il prossimo 28 febbraio 2014, ovvero, ai sensi del comma 732, corrispondendo: a) in un’unica soluzione un importo, pari al 30% delle somme dovute; b) sino ad un massimo di sei rate annuali, un importo pari al 60% delle somme dovute, oltre agli interessi legali, secondo un piano approvato dall’Ente gestore.
Successivamente, la domanda di definizione inoltrata ai sensi della norma citata, si perfezionerà – come disposto dal comma 733 – con il versamento, entro il termine di giorni sessanta dalla data di presentazione dell’istanza, dell’intero importo dovuto ovvero, in ipotesi di rateizzazione, della prima rata, sospendendo la procedura sino al pagamento del quantum complessivo previsto dal piano di rientro.
Tanto debitamente premesso, come emerge dalla piana disamina della normativa in menzione, si evince che la stessa è rigorosamente riferita al solo demanio marittimo, escludendo ex se dal relativo alveo di applicazione anche quello lacuale.
Ciò, all’evidenza – pregiudicando gli operatori di quest’ultimo settore, invero prevedendo un favor unicamente quelli appartenenti al novero del demanio marittimo – si pone in lapalissiano spregio a quanto graniticamente scolpito e cristallizzato dall’art. 3 della Carta Costituzionale, che sancisce il principio di uguaglianza formale – è vieppiù – sostanziale, inibendone la disparità di trattamento e la compressione dello sviluppo delle iniziative economiche, specie in presenza di situazioni tra loro eguali, assimilabili ovvero omogenee.
Del che, si impongono inevitabili considerazioni a tutela dell’omogeneità dell’ordinamento e del principio citato, apertamente eluso e vanificato, integrando la previsione normativa una violazione dell’uguaglianza tra gli operatori economici, sostanziandosi in una differenza (non già in un’uniformità) di trattamento tra situazioni giuridicamente analoghe, sotto il profilo dell’impropria attribuzione di un ingiustificato privilegio a taluni a nocumento di altri.
Atteso quanto delineato, si profila la possibilità di sollevare, mediante istanza ad hoc ed in via incidentale, questione di legittimità costituzionale ex art. 134 Cost., nonché ex art. 23 della Legge 11 marzo 1953 n. 87 (rubricata “Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale”), avanti la Corte costituzionale delle disposizioni in menzione, laddove il giudizio pendente (avente ad oggetto la contestazione in ordine alla debenza di importi legati all’occupazione di aree demaniali) non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della quaestio, sulla scorta di una ravvisata rilevanza delle norme denunciate nell’ambito dell’area decisionale del giudice remittente, unita al vaglio della non manifesta infondatezza, disponendo quest’ultimo, mediante un’illustrazione intellegibile, puntuale e circostanziata, ordinanza di rimessione alla Corte, sospendendo il giudizio in corso considerata la pregiudizialità tra il processo a quo e quello ad quem costituzionale.
All’evidenza, laddove vi fosse una decisione di accoglimento e, quindi, una declaratoria di illegittimità costituzionale delle norme censurande, le stesse, ex art. 136, comma 1 Costituzione, cesserebbero di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione medesima, circostanza che consentirebbe di eliminare quell’irragionevole ed incoerente disparità di trattamento attualmente prevista e sussistente nel nostro ordinamento tra gli operatori del demanio marittimo e lacuale.