Nota a TAR Brescia n. 600 depositata in data 4 giugno 2014
La tensostruttura quale pertinenza minore dell’edificio principale
La società ricorrente del caso in esame, ha esercitato azione per l’annullamento dell’ordinanza emessa dal responsabile dei Servizi di Gestione del Territorio del Comune di Bovezzo, con la quale era stata disposta la demolizione ex art. 31 del DPR 380 del 2001, della tensostruttura di sua proprietà. Tale manufatto situato in zona D1, composto da montanti in acciaio con copertura e chiusura dei quattro lati mediante materiale plastico, dotato di meccanismi che lo rendono retrattile, misura 56 mq, è alto 4,6 mt ed è stato realizzato in assenza di titolo abilitativo in quanto qualificato dal ricorrente come intervento di manutenzione ordinaria ex art. 6 comma 1 lett. a) del Testo Unico dell’Edilizia. Il Comune d’altro canto, ha ritenuto invece che tale opera costituisse in realtà una nuova costruzione, a causa delle dimensioni e della duratura modifica dello stato dei luoghi, e ne ha ordinato la demolizione, mentre l’intervenuto ad opponendum ha ravvisato nella fattispecie in questione il mancato rispetto della distanza minima di 10 mt dalle pareti finestrate della sua abitazione (prevista all’art 9 del DM 1444 del 1968).
Il ricorrente ha pertanto impugnato il disposto comunale eccependo la violazione degli artt. 3,6 e 37 del DPR 380/01 in quanto la struttura costituirebbe un’opera pertinenziale rispetto all’adiacente sede aziendale come tale soggetta a D.I.A. e non al permesso a costruire.
I Giudici in merito hanno affermato che una tensostruttura di siffatta specie non possa essere qualificata come attività di edilizia libera ai sensi dell’art. 6 del DPR 380, la stessa infatti non è adibita a differenti utilizzi nel corso dell’anno, né si tratta di opera contingente destinata alla rimozione nel termine di 90 giorni, e nemmeno si sostituisce ad un preesistente spazio attrezzato qualificabile come locale dell’impresa.
Il Collegio ritiene invece che tale struttura appartenga alla categoria descritta all’art. 3, comma 1, lett. e-1) quale manufatto leggero utilizzato come ambiente di lavoro oppure come deposito e magazzino, non diretto a soddisfare esigenze meramente temporanee.
Si tratta pertanto di una pertinenza minore rispetto a quelle definite alla lett. e-6 del suddetto articolo, la cui disciplina è demandata all’autonomia dei Comuni i quali dovranno considerare all’uopo le dimensioni del manufatto, il pregio ambientale e paesaggistico delle aree e la classificazione urbanistica.
La Giurisprudenza ( ex plurimis Cons. di Stato 6197/2013) ha individuato alcuni requisiti di cui devono essere dotate le strutture qualificabili come pertinenze minori tra i quali emergono: “la volumetria modesta, il collegamento con l’edificio principale, la mancanza di un’utilizzazione diversa da quella al servizio dell’edificio principale, il valore di mercato attribuibile solo in congiunzione con l’edificio principale”.
Nel caso di specie la struttura pur non superando il limite volumetrico posto dalla lett. e-6 (20 % del volume dell’edificio principale), ha comunque dimensioni ragguardevoli specie quando è chiusa su tutti i lati.
A tal punto i Giudici distinguono tra il volume reale del manufatto quando è chiuso rispetto al volume virtuale che occupa quando è aperto, ritenendo che qualora venisse raggiunto un accordo tra la proprietà ed il Comune sia riguardo i giorni e gli orari in cui tale struttura potrebbe rimanere chiusa (indicativamente di 90 giorni su base annua ex art. 6 comma 2) sia riguardo l’utilizzo di teloni non completamente oscuranti al fine di evitare anche i disagi igienico-sanitari a carico dell’immobile di parte intervenuta che l’art. 9 del DM 1444/1968 intende prevenire, la stessa potrebbe essere qualificata come pertinenza minore.
L’ordinanza in questione è stata pertanto annullata ed ogni valutazione in ordine all’impatto della struttura ed alla sua qualificazione dovrà essere assunta dal Comune secondo i criteri ut supra esposti.