Commento sentenza Consiglio di Stato n. 4545/2010
Il Consiglio di Stato ha impugnato la sentenza con la quale il Tar del Lazio, accogliendo parzialmente il ricorso proposto in primo grado ha annullato in alcune parti gli atti relativi all’adozione ed alla successiva approvazione del nuovo P.R.G. del Comune di Roma.
Più specificamente il ricorrente di primo grado ha impugnato dinanzi al TAR del Lazio gli atti relativi all’adozione d alla succesiva approvazione del nuovo strumento urbanistico capitolino: egli risulta proprietario di un’area che nel previgente P.R.G. del 1965 risultava avere destinazione agricola, mentre nel nuovo strumento urbanistico è stata suddivisa ricadendo in parte nel Parco di Vejo e per la parte residua nei c.d. “Tessuti prevalentemente residenziali” della “Città da ristrutturare. Ambito per i Programmi integrati”.
In tale ultima zona la disciplina urbanistica è contemplata negli artt. 51,52 e 53 delle N.T.A., alla cui stregua gli interventi edilizi sono assoggettati a Programma integrato di intervento (P.R.I.N.T.), come disciplinato nell’art. 14 delle N.T.A.
In particolare, per le aree ricadenti nella c.d. “Città da ristrutturare”, il citato art. 53 individua per le diverse categorie di suoli i differenti indici di fabbricabilità, sulla base delle destinazioni impresse ai suoli medesimi dal precedente P.R.G., prevedendo a fianco di detti indici le quote di superficie a disposizione del Comune ai sensi dell’art. 18 a norma del quale il proprietario può acquisire una quota aggiuntiva di superficie edificabile mettendone una quota maggioritaria a disposizione del Comune, affinchè questo la utilizzi per finalità di interesse pubblico ovvero soggette “al contributo straordinario di cui all’art. 20, secondo cui la quota maggioritaria è soggetta al pagamento di un contributo finanziario straordinario che il Comune utilizza per il finanziamento di opere e servizi pubblici in ambiti urbani degradati con finalità di riqualificazione urbana.
Tali ultime previsioni realizzerebbero la perequazione urbanistica.
Ebbene il Giudice di prime cure ha ritenuto che i predetti istituti della cessione di aree e del contributo straordinario violassero il principio di legalità in quanto non supportati da specifica ed adeguata previsione normativa: in particolare la cessione di aree realizzerebbe una sottrazione forzosa di edificabilità ai suoli privati al di fuori degli schemi tipici delle procedure ablatorie, mentre il contributo straordinario integrerebbe un’imposizione patrimoniale, sia pure di natura corrispettiva e non tributaria, anch’essa in difetto di espressa previsione di legge.
Tuttavia il Collegio d’appello ha ritenuto legittima la disciplina perequativa delle N.T.A., specificando che la predetta legittimità si regge su due pilastri fondamentali: la potestà conformativa del territorio di cui l’amministrazione è titolare nell’esercizio della propria attività di pianificazione e la possibilità di ricorrere a modelli privatistici e consensuali per il perseguimento di finalità di pubblico interesse.
In buona sostanza a parere del Giudice di secondo grado, l’esame del concreto meccanismo di operatività dell’istituto della cessione di aree consente di escludere che con lo stesso il Comune abbia introdotto prescrizioni idonee ad incidere direttamente ed immediatamente sullo statuto della proprietà, in modo da realizzare l’ipotizzata violazione dell’art. 42 Cost.
In effetti, il nuovo P.R.G., nel procedere alla ricognizione delle aree la cui destinazione comporta l’applicabilità dei nuovi istituti perequativi, ha in partenza confermato gli indici di fabbricabilità sulle stesse previsti dalla disciplina urbanistica previgente, di tal che le nuove previsioni vanno ad affiancarsi, integrandolo, ad un assetto sostanzialmente confermativo di quello preesistente.
In buona sostanza la previsione della cessione al Comune di una quota di edificabilità viene introdotta de futuro, in stretta correlazione con la previsione di una quota di edificabilità aggiuntiva di cui il proprietario potrà fruire consentendo alla cessione di parte di essa; analogamente, a norma dell’art. 20 delle N.T.A., il proprietario del suolo potrà fruire di ulteriore edificabilità corrispondendo un contributo straordinario predeterminato ex ante.
A parere del Giudice di secondo grado le previsioni urbanistiche oggetto di censura non esorbitano nemmeno i limiti del potere conformativo spettante all’Amministrazione nella propria attività di pianificazione del territorio.
Ed infatti, l’Amministrazione attribuendo ai suoli un determinato indice di edificabilità, nella specie corrispondente a quello già posseduto sotto il vigore del precedente P.R.G., ciò che pacificamente non ha travalicato l’ordinario esercizio del potere di pianificazione.
Inoltre, nell’ evidenziata prospettiva “dinamica”, ha proceduto a porre le basi per possibili incrementi futuri della cubatura edificabile, predisponendo i meccanismi con i quali questa potrà essere riconosciuta ai vari suoli, in ragione della loro zonizzazione e tipologia.
La disciplina impressa ai suoli attraverso i due momenti pianificatori testé indicati, con tutta evidenza, non può in alcun modo essere ritenuta tale da integrare una sostanziale ablazione della proprietà né una surrettizia sottrazione di volumetrie le quali, in assenza delle previsioni perequative, sarebbero state edificabili.
Evidenziato come le prescrizioni urbanistiche all’esame risultino in linea con una moderna concezione della potestà conformativa riconosciuta all’Amministrazione nella propria attività di pianificazione del territorio, il Collegio si è soffermato sulle particolari modalità con le quali le N.T.A. dispongono debba avvenire la perequazione urbanistica e finanziaria, allorquando troveranno applicazione i richiamati istituti della cessione di volumetrie al Comune e del contributo straordinario: al riguardo, viene in rilievo quello che si è anticipato essere il secondo dei pilastri su cui si reggono le innovative previsioni del P.R.G. capitolino, e cioè il ricorso a strumenti negoziali e consensuali per il perseguimento di obiettivi di pubblico interesse.
Sul punto, occorre specificare che la fattispecie inesame non è connotata affatto da una sostituzione della pianificazione generale con moduli convenzionali: infatti, il P.R.G. del Comune di Roma esiste certamente come atto provvedimentale e autoritativo, essendo stato approvato all’esito di un procedimento di carattere pubblicistico interamente promosso e gestito dall’Amministrazione pianificatrice mentre gli strumenti privatistici e consensuali sono destinati a intervenire nella fase attuativa delle prescrizioni poste dal Piano e anzi, a ben vedere, la previsione di un ulteriore strumento attuativo rimesso alla responsabilità pubblica, quale si è visto essere il P.R.I.N.T., garantisce che i predetti strumenti convenzionali sopravverrano nella fase strettamente esecutiva, al livello delle singole specifiche aree, sostituendosi semmai a procedure espropriative o comunque realizzative di singole opere pubbliche, piuttosto che a una vera e propria attività pianificatoria.
Nel caso di specie il richiamo più pertinente è quello agli accordi sostitutivi dell’espropriazione di cui all’art. 45 del d.P.R. 8 giugno 2001, nr. 327, che costituiscono proprio una applicazione del generale principio dell’utilizzabilità di modelli negoziali per il perseguimento di scopi di pubblico interesse, alla materia dell’ablazione della proprietà privata per la realizzazione di opere pubbliche.
Più in generale, il Collegio d’Appello ha reputato che la “copertura” normativa alla previsione deglii strumenti consensuali per il perseguimento di finalità perequative vada individuata, come correttamente evidenziato dall’Amministrazione regionale nel proprio appello, nel combinato disposto degli artt. 1, comma 1 bis, e 11 della già citata legge nr. 241 del 1990.
Oggi, essendo venuta meno la previgente riserva alla legge dei casi in cui alle amministrazioni è consentito ricorrere ad accordi in sostituzione di provvedimenti autoritativi, tale possibilità deve ritenersi sempre e comunque sussistente (salvi i casi di espresso divieto normativo); col che, secondo l’opinione preferibile, non è stato affatto introdotto il principio della atipicità degli strumenti consensuali in contrapposizione a quello di tipicità e nominatività dei provvedimenti, atteso che lo strumento convenzionale dovrà pur sempre prendere il posto di un provvedimento autoritativo individuato fra quelli “tipici” disciplinati dalla legge: a garanzia del rispetto di tale limite, lo stesso art. 11 innanzi citato prevede l’obbligo di una previa determinazione amministrativa che anticipi e legittimi il ricorso allo strumento dell’accordo.
Pertanto, nel caso di specie l’Amministrazione altro non ha fatto che predeterminare le condizioni alle quali potranno attivarsi i ridetti meccanismi convenzionali, solo se e quando i proprietari interessati ritengano di voler avvalersi degli incentivi cui sono collegati ove ciò non avvenga, il Comune che fosse interessato alla realizzazione di opere di urbanizzazione e infrastrutture dovrà attivarsi con gli strumenti tradizionali all’uopo predisposti dall’ordinamento, in primis le procedure espropriative, ma è proprio la natura “facoltativa” degli istituti perequativi de quibus, nel senso che la loro applicazione è rimessa a una libera scelta degli interessati, a escludere che negli stessi possa ravvisarsi una forzosa ablazione della proprietà nonché, nel caso del contributo straordinario, che si tratti di prestazione patrimoniale imposta in violazione della riserva di legge ex art. 23 Cost.