Nota Cassazione penale N° 45629 depositata il 13 novembre 2013
La sentenza in commento riguarda il reato di omissioni atti d’ufficio disciplinato dall’art. 328, comma 2 C.P. Si tratta di un reato proprio e di pericolo che si perfeziona ogni volta che viene denegato un atto non ritardabile, avente natura plurioffensiva.
Nel caso specifico il responsabile del servizio in questione, era stato imputato per il delitto di atti d’ufficio in quanto si era astenuto dal provvedere alla richiesta scritta di accesso ai documenti ritualmente formulata dal privato che aveva un interesse qualificato al compimento dell’atto.
A fronte della diffida del privato non aveva avuto seguito da parte del pubblico funzionario, nel termine di trenta giorni previsto dal comma 2 dell’art. 328 cp, né il compimento dell’atto, né la risposta che espone le ragioni del ritardo.
Il Giudice aveva risolto il caso de quo applicando il principio di diritto formulato dalla Corte di Cassazione (Sent. 12977/19989) secondo cui in materia di richiesta di accesso ad atti amministrativi coincidendo formalmente il termine di trenta giorni previsto dalla norma penale e quello stabilito dall’art. 2 commi 2 e 3 della L. 241/1990 per la definizione dei procedimenti amministrativi, deve escludersi la configurabilità del reato di omissione di atti di ufficio perché i due termini sarebbero sovrapponibili e quindi l’inattività del funzionario determinerebbe il prodursi, anche se per presunzione, del silenzio rifiuto della Pubblica Amministrazione come tale incompatibile con l’inerzia della stessa poiché qualificabile come atto negativo tacito.
Ricorre avverso tale pronuncia il Pubblico Ministero adducendo la violazione dell’art. 328 C.P. e dell’art. 25 della L. 241/1990.
La Suprema Corte accoglie il ricorso ritenendo irrilevante ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 328 C.p. il formarsi del silenzio-rifiuto.
Il silenzio – rifiuto secondo i Giudici “deve considerarsi inadempimento e, quindi, come condotta omissiva richiesta per la configurazione della fattispecie incriminatrice”.
Secondo l’orientamento dominante formatosi in dottrina ed in Giurisprudenza occorre distinguere i due termini. Si afferma che il reato è configurabile se, una volta decorso il termine previsto nei procedimenti amministrativi, il soggetto passivo abbia messo in mora la Pubblica Amministrazione, con un successivo atto di diffida, rimasto senza riscontro.
Secondo la Giurisprudenza di legittimità (Cass. 24567/2001) la previsione di cui all’art. 328, comma 2 c.p. si colloca su di un piano di tutela diverso rispetto a quello riconosciuto dalla L. 241/1990 in particolare “è da escludersi che la sola formazione del silenzio – rifiuto, per il decorso del termine dei trenta giorni, costituisca, per il solo fatto di consentire al privato di promuovere un giudizio amministrativo, una risposta idonea tale da escludere la rilevanza penale dell’omissione in quanto, se così fosse, risulterebbe inutile e pleonastica la stessa presenza nell’ordinamento della previsione in oggetto. La richiesta del privato, ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 328, comma 2, c.p., deve fondarsi su di una pretesa seria, volta cioè ad ottenere un provvedimento che riconosca un diritto certo del privato”.