Il consigliere comunale non è legittimato ad impugnare gli atti di variante di PGT se non viene in rilievo una lesione diretta del suo diritto all’ufficio
Il tema è estremamente attuale stante il fatto che, sempre più spesso, i consiglieri comunali impugnano gli atti di pianificazione lamentando non tanto la lesione delle prerogative loro riconosciute dalla legge in qualità di componenti dell’organo consiliare, quanto a tutela del più generale principio di legalità dell’azione amministrativa o degli interessi del Comune.
Un’amministrazione comunale assistita dallo studio, infatti, si è costituita nel giudizio promosso da alcuni consiglieri comunali avverso gli atti di variante di PGT, rilevando l’inammissibilità ed improcedibilità del ricorso per carenza di legittimazione attiva e di interesse ad agire dei consiglieri.
I ricorrenti, infatti, nell’affermare espressamente di agire nella veste di componenti del consiglio comunale in carica, censurano il contenuto delle delibere impugnate lamentando: l’assenza di un interesse pubblico sotteso alla scelta privilegiata dall’ente, la ritualità della procedura di variante, l’esercizio della libera negoziazione del contenuto di una convenzione urbanistica nonché la modifica dell’atto negoziale con la previsione della monetizzazione delle aree a standard in luogo della cessione gratuita delle stesse.
Costituisce principio giurisprudenziale consolidato quello secondo cui il consigliere comunale è legittimamente ammesso ad impugnare gli atti dell’ente a cui appartiene solo quando venga in rilievo una diretta lesione delle sue prerogative, ossia del munus che gli viene riconosciuto dall’ordinamento.
E’ inammissibile, invece, il ricorso dei consiglieri comunali nel caso di censure estranee a quelle idonee a radicare la legittimazione attiva degli eletti negli enti locali, in relazione all’impugnazione di atti del consiglio di cui facciano parte; infatti, in casi del genere, non vengono in rilievo violazioni quali, a titolo esemplificativo, l’irritualità della convocazione, la violazione dell’ordine del giorno, il difetto di costituzione del collegio, inerenti alle modalità di espletamento del mandato, come tali di per sé suscettibili di determinare un’illegittimità del provvedimento conclusivo.
La tutela giurisdizionale dell’interesse del consigliere comunale è, dunque, ammessa solo qualora venga in rilievo un interesse connesso alla posizione del consigliere stesso all’interno dell’ente e non quando l’atto contestato non incida direttamente sul suo diritto all’ufficio o sull’esercizio del suo mandato.
Nel contenzioso in esame, i motivi di ricorso articolati dai ricorrenti, non contestano la lesione delle prerogative di consigliere comunale, essendo invece incentrati su presunte violazioni della disciplina urbanistica ed in materia di giusto procedimento.
I consiglieri comunali dissenzienti non hanno, in definitiva, un interesse protetto e differenziato all’impugnazione delle deliberazioni dell’organismo del quale fanno parte, in quanto il giudizio amministrativo, di regola, non è aperto alle controversie tra organi e componenti di organi di uno stesso ente, ma è diretto a risolvere controversie intersoggettive.
Sulla scorta di quanto sopra, atteso che i ricorrenti hanno comunque esercitato pienamente il loro diritto di intervenire in sede di dibattito consigliare, si è rilevato che il mancato accoglimento in quella sede dei rilievi dei consiglieri in disaccordo con la decisione assunta, rientra nella normale dialettica democratica in cui la maggioranza prevale sulla minoranza.
Attesa l’eccepita carenza dei presupposti necessari per la concessione della misura cautelare e “l’eccezione di inammissibilità per difetto di legittimazione e di interesse ad agire”, formulate negli atti difensivi depositati per conto dell’assistito Comune resistente, il Tar ha accolto la richiesta formulata negli atti difensivi depositati dallo studio, respingendo la domanda incidentale di sospensione dei provvedimenti impugnati proposta dai ricorrenti consiglieri comunali di minoranza.