Profili fiscali: l’evoluzione giurisprudenziale ed il recente approdo delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass. SS.UU. n. 16080/2021)
La tematica dei diritti edificatori ha delle significative ricadute anche in ambito tributario, là dove l’atteggiarsi del fenomeno ed il relativo inquadramento giuridico rappresentano i necessari presupposti per stabilire il trattamento fiscale a cui sottoporre, da un lato i terreni oggetto di perequazione o compensazione urbanistica, dall’altro il contratto di cessione di cubatura.
Con riferimento alla perequazione ed alla compensazione, la questione che si è posta ha riguardato l’assoggettabilità delle aree coinvolte nei suddetti programmi urbanistici alla tassazione ICI: come a breve si dirà, a tale interrogativo sono state fornite risposte difformi in ragione delle differenze che separano queste due tecniche di pianificazione, pur accomunate dall’utilizzo dei diritti edificatori e da quello che abbiamo visto esserne il tratto peculiare, dato dalla loro riconosciuta scorporabilità dal terreno di origine con conseguente capacità di circolazione autonoma.
Al fine di inquadrare la problematica dal punto di vista tributario, giova premettere che la disciplina ICI è recata dal D.lgs. n. 504 del 1992, che all’articolo 1 annovera, quale presupposto dell’imposta, «il possesso di fabbricati, di aree fabbricabili e di terreni agricoli», per poi specificare, all’articolo 2 che «per area fabbricabile si intende l’area utilizzabile a scopo edificatorio in base agli strumenti urbanistici generali o attuativi ovvero in base alle possibilità effettive di edificazione determinate secondo i criteri previsti agli effetti dell’indennità di espropriazione per pubblica utilità»; pertanto, posto che la disciplina ICI, nell’ambito della fiscalità locale, funge altresì da «matrice di riferimento anche per i tributi che si sono ad essa succeduti (D.Lgs. n. 23 del 2011, Imu; L. n. 147 del 2013, Iuc-Tasi; L. n. 160 del 2019, nuova Imu) e che hanno accolto la medesima nozione di area fabbricabile, la fattispecie impositiva è incentrata, da un lato, sulla tassativa ed esaustiva elencazione dei beni immobili colpiti (fabbricati, aree fabbricabili, terreni agricoli) e, dall’altro, su una relazione di realità con tali immobili[1]».
Orbene, la Cassazione a Sezioni Unite, già nel 2006[2], aveva ritenuto che «ai fini dell’applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, un’area è da considerarsi fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal comune, indipendentemente dall’approvazione della regione e dall’adozione di strumenti attuativi, del medesimo: in tal caso, l’ICI deve essere dichiarata e liquidata sulla base del valore venale in comune commercio, tenendo conto anche di quanto sia effettiva e prossima la utilizzabilità a scopo edificatorio del suolo, e di quanto possano incidere gli ulteriori eventuali oneri di urbanizzazione», rendendo così nitida l’autonomia della nozione di edificabilità in senso urbanistico, per la quale si richiede che gli strumenti urbanistici siano perfezionati, da quella tributaria, che mira invece ad adeguare il prelievo fiscale alle variazioni dei valori economici dei suoli, con la conseguente possibilità di attribuire rilevanza impositiva anche al solo avvio della procedura amministrativa finalizzata all’edificabilità quale manifestazione di ricchezza e capacità contributiva[3]. Si è così fatto strada quell’orientamento che considera la nozione di area fabbricabile ispirata alla «mera potenzialità edificatoria» e che applica il criterio che impone di soppesare, ai fini della determinazione della base imponibile, non il valore catastale ma, in una con l’incidenza degli oneri di urbanizzazione, la minore o maggiore attualità di tale potenzialità edificatoria[4].
Alla luce di quanto esposto appare chiaro come possa essere risultata controversa l’applicabilità del tributo de quo là dove operino meccanismi perequativi e, soprattutto, compensativi, atteso che questi attribuiscono al terreno un valore edificatorio, il quale risulta però suscettibile di essere scorporato dall’area di origine e circolare autonomamente nella forma – appunto – del diritto edificatorio.
In un precedente reso dalla Sezione Tributaria della Cassazione nel 2018[5] sono stati ritenuti assoggettati ad ICI – sulla base del richiamato criterio della mera potenzialità edificatoria – i terreni compresi in una perequazione urbanistica, ricadenti in un’area destinata a verde pubblico e viabilità, alla quale, in base al meccanismo perequativo, era stato attribuito un indice edificatorio.
A distanza di pochi anni, le Sezioni Unite – con la richiamata pronuncia del 2020 – hanno affrontato il medesimo profilo fiscale ma in questo caso l’area, già edificabile e poi assoggettata a vincolo di inedificabilità assoluta, era inserita in un programma di compensazione urbanistica: si trattava, in particolare, di stabilire se tale area fosse da considerare edificabile ai fini ICI ancorché il procedimento compensatorio non si fosse ancora concluso, «non essendo stata specificamente individuata ed assegnata al proprietario la cd. area di atterraggio, ossia l’area sulla quale deve essere trasferita l’edificabilità già cessata sull’area cd. di decollo[6]».
L’ordinanza di rimessione ha richiamato il contrasto sorto in seno alla Sezione Tributaria, la quale fino al 2015[7] aveva ritenuto che «l’apposizione sull’area di un vincolo di destinazione a servizio pubblico o di interesse pubblico, ovvero a verde pubblico attrezzato, idoneo ad impedire ai privati tutte quelle trasformazioni del suolo riconducibili alla nozione tecnica di edificazione, esclude la fabbricabilità ai fini del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 1, comma 2», mentre a partire dal 2015 aveva visto consolidarsi l’opposto orientamento «in base al quale l’apposizione di vincoli di destinazione, ancorché indubbiamente incidente sul valore venale dell’immobile, non è tuttavia tale da farne venir meno l’originaria natura edificabile[8]» ed evidenziato che «qualora si attribuisse ai diritti edificatori in questione natura obbligatoria, ben difficilmente se ne potrebbe ammettere l’imponibilità Ici, essendo quest’ultimo un tipico tributo di natura reale che presuppone l’edificabilità in quanto qualità intrinseca del terreno», ravvisando che – in fattispecie come quella dedotta in giudizio – «il credito edificatorio compensativo farà eventualmente nascere, come una sorta di indennizzo o corrispettivo aggiuntivo, una capacità edificatoria (in altra sede) solo in forza della conclusione del procedimento compensatorio, sicché fino a tale momento non esisterà l’edificabilità di alcuna area, ma soltanto una mera possibilità futura di edificabilità, neppure certa nell’an e nel quando[9]».
Le Sezioni Unite, dopo aver proceduto ad una previa ricognizione dei modelli di pianificazione urbanistica basati sull’utilizzo e circolazione dei diritti edificatori[10], hanno escluso l’imponibilità ICI, come area edificabile, del terreno dal quale origina il diritto edificatorio compensativo, atteso che – ferme alcune previsioni di natura eccezionale e derogatoria – gli elementi costitutivi generali del tributo fanno inequivoco riferimento al sostrato reale dell’imposta «e questo sostrato reale fa certamente difetto nel caso del diritto edificatorio compensativo».
In particolare, le Sezioni Unite hanno ritenuto – tra le varie argomentazioni esposte, in parte riprese e sviluppate dalla successiva sentenza del 2021[11] – che l’«ostacolo davvero invalicabile nell’affermare la natura reale del diritto edificatorio in questione, è il suo totale distacco dal fondo di origine e la sua conseguente perfetta ed autonoma ambulatorietà», ponendo in evidenza come tali caratteri ben si accordano con la funzione di attribuire al proprietario del fondo, in alternativa all’esproprio, «un’utilità giuridica ed economica che lo tenga indenne dalla decurtazione subita per effetto dell’imposizione del vincolo su un terreno originariamente edificabile. Sicché, da questo necessitato punto di vista, il diritto edificatorio compensativo non costituisce nulla di diverso da una indennità ripristinatoria – in moneta urbanistica – di un patrimonio inciso, che il proprietario può valorizzare sul mercato indipendentemente dal suolo generatore; il quale, del resto, potrebbe risultare ormai privo di qualsivoglia appetibilità commerciale e, anzi, nemmeno più appartenergli, come nel caso in cui il diritto gli fosse attribuito a fronte della cessione spontanea dell’area».
È stato pertanto posto in rilievo il difetto di inerenza in senso giuridico – tanto civilistico quanto tributario – del diritto edificatorio rispetto al fondo di partenza, che «si evidenzia in maniera addirittura eclatante in quello che è il segmento più critico, e rivelatore, della fattispecie, appunto quello del “volo”; allorquando il diritto di costruire non può più essere esercitato sul fondo di origine, e non può ancora essere esercitato sul fondo di destinazione perché non ancora assegnato né, forse, individuato».
Proprio tale peculiarità ha portato le Sezioni Unite a discostarsi – con specifico riferimento alla fattispecie attenzionata – dal precedente reso nel 2006 in ordine alla nozione di edificabilità ai fini ICI[12], evidenziando come in quel caso si fosse di fronte «ad un fenomeno di ordinaria fruizione della edificabilità sullo stesso suolo oggetto di tassazione, mentre la peculiarità del caso qui in esame è proprio data dallo scorporo di questa fruizione, altrove rivolta». In tema di diritto edificatorio di origine compensativa, ciò che osta alla tassazione ICI non è la difficoltà di stima – per quanto la misurazione della potenzialità edificatoria possa risultare difficoltosa, se non addirittura impossibile nella fase di «volo», essendo il più delle volte ignota l’area di destinazione – «quanto, ed a differenza del tema già affrontato dalle sezioni unite, proprio l’ontologica autonomia giuridica ed economica del diritto edificatorio rispetto al suolo dal quale emana. In altre parole, mentre là il problema era di base imponibile, qui è di presupposto dell’imposizione».
Per la medesima ragione le Sezioni Unite hanno ritenuto di non poter sostenere – in caso di compensazione urbanistica – la soluzione fornita dalla giurisprudenza di legittimità in ordine alle ipotesi di perequazione, tendenzialmente riconducibile al criterio di cui alle Sezioni Unite del 2006: nella perequazione, difatti, la potenzialità edificatoria si ravvisa «nell’attribuzione di un indice perequativo costante di edificabilità ai suoli ricompresi nel comparto o, comunque, nell’area interessata dal piano di intervento», divenendo una qualità intrinseca del fondo, tanto che «la fattispecie di edificabilità può dirsi perfetta fin dall’origine, non necessitando di successiva individuazione ed effettiva assegnazione di aree surrogatorie di atterraggio. È dunque nella compensazione – e non nella perequazione – urbanistica che si assiste alla massima volatilità dello jus aedificandi rispetto alla proprietà del suolo». La pronuncia in esame evidenzia, pertanto, come sia «in forza di una nozione di inerenza reale e non virtuale», che il ricordato indirizzo di legittimità giunge a qualificare come edificabile ai fini ICI il terreno assegnatario dell’indice perequativo «così da sussumere la fattispecie ancora all’interno della previsione impositiva tipica».
Poste tali differenze[13], la pronuncia in commento ha dunque statuito che «un’area, prima edificabile e poi assoggettata ad un vincolo di inedificabilità assoluta, non è da considerare edificabile ai fini ICI ove inserita in un programma attributivo di un diritto edificatorio compensativo, dal momento che quest’ultimo non ha natura reale, non inerisce al terreno, non costituisce una sua qualità intrinseca ed è trasferibile separatamente da esso[14]».
Orbene, concludiamo questa prima parte della trattazione riprendendo la sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, n. 16080 del 2021, la quale – come già diffusamente esplicato – si è pronunciata in ordine al contratto di cessione di cubatura, definendone l’inquadramento giuridico al fine di dirimere una questione di carattere tributario riguardante l’aliquota applicabile in relazione all’imposta di registro.
In particolare, l’ordinanza di rimessione[15] ha evidenziato come l’individuazione della natura giuridica dell’atto di cessione abbia delle dirette ricadute fiscali ai fini dell’imposizione di registro in termine fisso, atteso che accedendo alla tesi della realità – sostenuta dalla Sezione Tributaria – questo sarebbe soggetto all’aliquota del 9% (8% all’epoca dei fatti di causa) prevista dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 1, Tariffa Parte I all. al («atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di beni immobili in genere ed atti traslativi o costitutivi di diritti reali immobiliari di godimento, compresi la rinuncia pura e semplice agli stessi […]»); qualora si ritenesse invece – come affermato in seno alla Seconda Sezione Civile – che l’atto in questione rientri nella fattispecie di negozio ad effetti meramente obbligatori, dovrebbe trovare applicazione l’aliquota del 3% residualmente prevista dall’art. 9 Tariffa Parte I cit. per gli «atti diversi aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale».
In ordine all’imposta di registro si è ribadito, come di recente affermato dalla Corte Costituzionale con le sentenze n. 158/2020 e n. 39/2021, che questa «si presenta tutt’oggi come una tipica imposta d’atto, in quanto applicata all’atto presentato alla registrazione (D.P.R. n. 131 del 1986, art. 1), intendendosi per tale un ben determinato negozio giuridico o un altro atto regolatore di un assetto di interessi che denoti forza economica e capacità patrimoniale», motivo per il quale, ai fini della relativa applicazione, è apparso imprescindibile procedere alla «previa esatta individuazione dell’atto da registrare», con riferimento alla valutazione sostanziale della natura e degli effetti giuridici dello stesso, da svolgersi secondo le categorie proprie del diritto civile, essendo relativa all’attività negoziale delle parti contribuenti.
Altro passaggio preliminare che merita di essere sottolineato è rappresentato dalla valutazione compiuta dalle Sezioni Unite in ordine alla possibilità di ritenere la questione già risolta dalla pronuncia del 2020 innanzi menzionata, atteso che «la cessione di cubatura, pur mantenendosi certamente al di fuori del perimetro dei diritti edificatori direttamente generati dalla PA nell’ambito della c.d. urbanistica consensuale, dà comunque anch’essa luogo ad una forma di distacco e separata negoziazione dello jus aedificandi rispetto alla proprietà del suolo; per giunta, costituisce un dato pacifico di causa che la cubatura oggetto dell’atto di cessione dedotto nel presente giudizio origini in effetti anch’essa da una compensazione urbanistica convenzionalmente intercorsa tra i contribuenti e l’amministrazione comunale».
Partendo da tale ultimo aspetto, le Sezioni Unite hanno posto in rilievo la differenza intercorrente tra le due fattispecie attenzionate, in quanto «la cessione di cubatura qui dedotta non manifesta la volatilità caratteristica ed estrema del diritto edificatorio compensativo ancora in fase di assegnazione (oggetto specifico della sentenza n. 23902/20), essendo stata posta in essere dopo il completamento dell’ultimo segmento della fattispecie compensativa (potremmo anche dire, ad atterraggio ormai avvenuto), il che rende in pratica ininfluente la provenienza convenzionale della volumetria ceduta» ed hanno altresì evidenziato come le peculiarità distintive della figura negoziale non consentano di trovare «piana e scontata soluzione in quanto in quella sede già deciso», pur dovendo esaminare il problema della natura giuridica della cessione di cubatura – in quanto riconducibile alla materia dei diritti edificatori globalmente considerati – in linea di continuità e coerenza con quella decisione.
Orbene, avendo già dato atto del percorso argomentativo che ha portato le Sezioni Unite a dichiarare che la cessione di cubatura «è atto immediatamente traslativo di un diritto edificatorio di natura non reale e a contenuto patrimoniale[16]», non resta che evidenziare, in ordine al profilo tributario, l’affermazione, contenuta nel principio di diritto espresso, per cui tale atto è «assoggettabile ad imposta proporzionale di registro come atto diverso avente ad oggetto prestazione a contenuto patrimoniale ex art. 9 Tariffa Parte Prima allegata al D.P.R. n. 131 del 1986 nonchè, in caso di trascrizione e voltura, ad imposta ipotecaria e catastale in misura fissa ex artt. 4 Tariffa allegata al D.Lgs. n. 347 del 1990 e art. 10, comma 2, del medesimo D.Lgs.».
[1] Cassazione civile sez. un., 29/10/2020, n. 23902, cit.
[2] Cassazione civile sez. un., 30/11/2006, n. 25506.
[3] Cassazione civile sez. un., 29/10/2020, n. 23902, cit.
[4] Cfr. Cassazione Civile, Sez. Trib., 23/06/2017, n. 15696; Cass. Sez. VI, 15 giugno 2016, n. 12377.
[5] Cass. Civ. Sez. Tributaria, n. 27575 del 2018; cfr. anche Cass. civ. nn. 15693/2017 e 15700/2017.
[6] Cassazione civile sez. un., 29/10/2020, n. 23902, cit.
[7] Cfr. Cass. Civ. n. 25672/2008 e n. 5992/2015; vengono richiamate dalla sentenza in commento anche Cass. Civ. Sez. I, n. 11408/12 e n. 13197/07, pervenute ad analoga conclusione ai diversi fini della determinazione dell’indennità di espropriazione.
[8] Rispetto a tale secondo filone vengono citate, dalle Sezioni Unite del 2020, Cass. n. 17764/2018, n. 23814/2016, n. 14763/2015.
[9] Cassazione civile sez. un., 29/10/2020, n. 23902, cit.
[10] Di cui si è già trattato al par. 2.
[11] Cassazione civile, sez. un., 09/06/2021, n. 16080, cit., su cui cfr. par.1.
[12] Cassazione civile sez. un., 30/11/2006, n. 25506, cit.
[13] Cfr. Cassazione civile sez. trib., 05/10/2021, n. 26895, per la quale in tema di ICI, posta la rilevanza della mera potenzialità edificatoria, è soggetto a imposta il terreno inserito nell’ambito della perequazione urbanistica, atteso che, per effetto di essa, viene direttamente attribuito ai suoli ricompresi nel comparto o, comunque, nell’area interessata dal piano di intervento, un indice perequativo costante di edificabilità, che diviene una qualità intrinseca del terreno; diversamente, non è soggetto a imposta il terreno inserito nell’ambito della compensazione urbanistica, atteso che, per effetto di essa, viene attribuito al privato un indice di capacità edificatoria fruibile su un’altra area, che può essere individuata anche successivamente, a fronte della cessione dell’area oggetto di trasformazione urbanistica, ovvero dell’imposizione su di essa di un vincolo di inedificabilità assoluta o preordinato all’esproprio, con la conseguenza che, in tale caso il diritto edificatorio non inerisce al terreno, non costituisce una sua qualità intrinseca ed è trasferibile separatamente da esso.
[14] Tale principio di diritto è stato successivamente riaffermato anche da Cassazione civile sez. VI, 02/12/2021, n. 37934, che ha ritenuto che un’area già edificabile poi assoggettata a vincolo di inedificabilità se inserita in programma di compensazione urbanistica non è assoggettabile ad imposta.
[15] Cassazione civile sez. VI, 15/09/2020, n. 19152, cit.
[16] Cfr. par. 1.