Corte di Cassazione, Sezioni Unite, Ordinanza n. 25156/2022
La Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha recentemente reso l’Ordinanza n. 25156/2022, pronunciandosi su un ricorso promosso da un privato – assistito dallo Studio Legale «Bruno Bianchi & Partners» – avverso una sentenza resa dal Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche di Roma: la questione dibattuta – di particolare rilevanza – si è posta nell’ambito di un procedimento di opposizione ad un’ingiunzione emessa dall’Agenzia delle Entrate per il pagamento di canoni per concessione demaniale.
Giova premettere che – come si legge nell’Ordinanza in commento – con la decisione impugnata il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche ha confermato la pronuncia del Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche di Milano «con la quale era stata dichiarata improponibile la domanda» proposta da parte ricorrente nei confronti di un’Amministrazione comunale e dell’Agenzia delle Entrate Riscossione «per l’accertamento della illegittimità dell’atto di ingiunzione di pagamento relativo a canoni per concessione demaniale (annualità dal 2001 al 2006) concernente l’occupazione di un’area attigua a terreni di proprietà della istante».
Il giudice di primo grado aveva difatti ritenuto fondata l’eccezione di improponibilità della domanda sollevata dal Comune, avendo la ricorrente proposto, nel 2008, un ricorso in opposizione a cartella di pagamento emessa per il medesimo credito ai sensi dell’articolo 3 del R.D. n. 639/1910, con procedimento estintosi con provvedimento del 2017 per mancata riassunzione a seguito della sospensione dovuta all’accertamento pregiudiziale, conclusosi con sentenza passata in giudicato, circa la demanialità delle aree. Sulla scorta di tali rilievi il T.R.A.P. milanese aveva reputato, dunque, applicabile per analogia la disciplina relativa all’opposizione a decreto ingiuntivo – avendo considerato le relative procedure assimilabili – sostenendo, alla luce del disposto di cui all’articolo 653 c.p.c., che una volta estintosi il procedimento di opposizione non fosse più possibile contestare il credito mediante successivo giudizio per essersi l’azione, in tal modo, consumata. Secondo tale impostazione l’estinzione del procedimento avrebbe comportato il passaggio in giudicato del credito vantato, atteso che l’applicazione dell’articolo 310 c.p.c. – norma di portata generale con la quale si stabilisce che «l’estinzione del processo non estingue l’azione» – sarebbe stata impedita dalla specialità della procedura.
Ad analoga conclusione è pervenuto il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche con la sentenza impugnata, seppur osservando come più che di un’applicazione analogica dell’articolo 653 c.p.c. si tratti di trarre le conseguenze processuali e sistematiche dal meccanismo di opposizione ad ingiunzione cd. «fiscale», come predisposto dal legislatore. La statuizione gravata ha ricordato, invero, come la natura dell’ingiunzione fiscale partecipi delle caratteristiche del titolo esecutivo e del precetto, nonché come la mancata impugnazione dell’ingiunzione e la decorrenza del termine per l’opposizione – determinandone la decadenza – producano la irretrattabilità del credito quale effetto sostanziale derivante dalla mancata impugnazione di un atto di riscossione coattiva. Il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche ha poi esteso le medesime conseguenze al caso dell’estinzione del giudizio di opposizione in ragione della presunzione di legittimità che assiste il credito: tale estinzione – si è affermato – consuma l’azione, posto che il modo tipico di contrastare il provvedimento amministrativo è stato delineato nel procedimento di opposizione ex articolo 3 del R.D. n. 639/1910 e non è ammessa l’introduzione di un nuovo giudizio, all’infuori del procedimento ad hoc speciale predisposto dal legislatore, per ottenere ex novo l’accertamento della non debenza del credito a fronte di un provvedimento ingiunzionale ormai divenuto definitivo.
Così ricostruito l’iter argomentativo seguito dalle pronunce di primo e secondo grado, risulta agevole inquadrare la questione controversa, incentrata sulle conseguenze – giuridiche e processuali – da ascrivere e ricondurre all’estinzione del giudizio di opposizione, ovvero se da esso derivi o meno l’improponibilità – rectius la non riproponibilità – della domanda.
Orbene, con il primo motivo del ricorso per Cassazione proposto dalla parte privata assistita dallo Studio, è stata censurata la violazione e falsa applicazione degli articoli 3, 4, 5 del R.D. n. 639/1910 – disciplina che regola la procedura di riscossione coattiva delle entrate patrimoniali dello Stato applicabile alla fattispecie in esame – e dell’articolo 310 c.p.c., nonché l’omessa, parziale ed erronea valutazione in ordine alla sussistenza dei requisiti per la proponibilità ed ammissibilità della domanda quanto al capo della sentenza impugnata. In relazione al profilo qui di interesse si è provveduto a rappresentare come il giudice di secondo grado si sia discostato dal disposto degli articoli 4 e 5 del R.D. n. 639 del 1910, in quanto detta normativa non fa alcun riferimento all’ipotesi di estinzione del processo a cui consegue l’efficacia esecutiva della pretesa creditoria (in disparte le considerazioni in merito alla diversità della stessa, nel caso specifico riguardante una somma superiore rispetto a quella originaria): ne deriva – secondo la tesi prospettata dallo Studio ed accolta dalla Suprema Corte con l’Ordinanza in commento – che in assenza di esplicita norma speciale in punto di estinzione del giudizio di opposizione, trova applicazione, rispetto al provvedimento amministrativo de quo, la disciplina generale di cui all’articolo 310 c.p.c., risultando così riproponibile la domanda giudiziale.
Nel dichiarare la fondatezza del suddetto motivo di ricorso, le Sezioni Unite hanno richiamato il consolidato orientamento della Corte che considera non perentorio il termine di cui all’articolo 3 del R.D. n. 639/1910 e valorizza la particolare natura della procedura di riscossione coattiva in argomento, dandovi continuità e rilevando che il carattere meramente ordinatorio di detto termine è coerente con la natura del giudizio che viene instaurato con l’opposizione, diretto all’accertamento dell’inesistenza del credito dell’Amministrazione, in assenza di espressa previsione di decadenza o inammissibilità: conseguentemente è stato affermato che «non può ritenersi preclusa la proposizione di una nuova azione a seguito dell’estinzione del processo, atteso che, a meno che si siano verificate ipotesi di decadenza, nella specie escluse, l’estinzione ai sensi dell’art. 310 cod. proc. civ. non estingue il diritto o l’azione, né quest’ultima si esaurisce solo perché è stata esercitata in un processo ove non abbia condotto ad un provvedimento sul merito».
La Corte ha, pertanto, accolto il ricorso, con assorbimento degli ulteriori motivi, cassando la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche in diversa composizione che dovrà attenersi ai principi di diritto enunciati.