Le Sezioni Unite della Corte Suprema di Cassazione hanno recentemente reso l’Ordinanza n. 37439/2022, pronunciandosi su un ricorso proposto da una parte privata – che ha visto quale controricorrente un’Amministrazione comunale assistita dallo Studio Legale «Bruno Bianchi & Partners» – avverso la sentenza n. 5540/2021 del Consiglio di Stato.
Parte ricorrente, con l’unico motivo di ricorso, ha lamentato l’eccesso di potere giurisdizionale per violazione dell’articolo 111, ottavo comma, della Costituzione, dell’articolo 362 del codice di procedura civile e dell’articolo 110 del codice del processo amministrativo, nella parte in cui la sentenza impugnata ha riconosciuto valore di giudicato implicito ad una precedente statuizione, resa nell’ambito di un distinto giudizio civile, dalla Corte di Appello di Milano, con la sentenza n. 305 del 2011, in relazione all’accertamento del diritto di proprietà delle aree oggetto di controversia.
Al fine di illustrare il pronunciamento delle Sezioni Unite – che ha sostanzialmente confermato la tesi sostenuta dall’Amministrazione controinteressata – è necessaria una premessa di ordine introduttivo concernente la complessiva vicenda processuale giunta all’esame della Suprema Corte.
La parte ricorrente, a suo tempo proprietaria del compendio immobiliare controverso sul quale era stato realizzato un parcheggio pubblico, ha adito il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, sede di Milano, impugnando il Piano delle alienazioni degli immobili comunali approvato dal Comune ed il Programma Integrato di Intervento (P.I.I.) relativamente alla parte di interesse: a sostegno della domanda ha esposto che l’area di proprietà era stata oggetto di occupazione d’urgenza da parte del Comune per la realizzazione del parcheggio pubblico, ma che l’Amministrazione non aveva poi adottato i necessari provvedimenti di esproprio, per cui essa riteneva di esserne ancora proprietaria. In aggiunta, ha evidenziato che il Piano delle alienazioni immobiliari era stato assunto sulla base di un erroneo presupposto, avendo errato l’Amministrazione nel ritenere che quell’area fosse di proprietà comunale in base alla già menzionata sentenza n. 305 del 2011 della Corte d’Appello di Milano.
Il Comune resistente, costituendosi in giudizio in primo grado, ha chiesto il rigetto del ricorso, sulla base della principale affermazione per cui la decisione resa dalla Corte di Appello di Milano con la menzionata sentenza implicasse in automatico il riconoscimento in suo favore del diritto di proprietà dell’area contestata, per effetto dell’occupazione acquisitiva: la Corte d’Appello milanese – all’esito di un procedimento civile promosso dalla medesima parte ricorrente al fine di ottenere la restituzione dell’area occupata dall’Amministrazione con provvedimento d’urgenza o, in subordine, il risarcimento del danno per equivalente – aveva difatti respinto tali domande, con declaratoria di prescrizione del diritto al risarcimento del danno per decorso del termine di cinque anni, qualificando l’occupazione come acquisitiva alla luce degli elementi emersi, pur tuttavia dichiarando inammissibile per motivi di rito la domanda con la quale l’Ente comunale aveva richiesto che fosse riconosciuto l’intervenuto trasferimento in sua proprietà di quell’area.
Orbene, il T.A.R. ha accolto il ricorso, sul preliminare rilievo per cui il Comune non aveva acquisito la proprietà con un formale atto ablatorio: avverso tale pronuncia ha proposto appello l’Amministrazione soccombente.
Il Consiglio di Stato, con la citata sentenza n. 5540/2021 – impugnata innanzi alla Suprema Corte – ha accolto il gravame e, in riforma della sentenza del T.A.R., ha rigettato il ricorso proposto in primo grado.
Pur premettendo che il T.A.R. ha fondato la sua decisione sulla mancanza di un atto ablatorio suscettibile di aver trasferito al Comune la proprietà del compendio immobiliare in discussione, il Consiglio di Stato ha riportato in parte la motivazione della sentenza n. 305 del 2011 della Corte d’Appello di Milano ed osservato che, alla luce dei principi enunciati dall’Adunanza Plenaria n. 6 del 2021, poteva accogliersi una «concezione estensiva dei limiti oggettivi del giudicato, per cui il giudicato sostanziale si forma su tutto ciò che ha costituito oggetto della decisione», secondo un’impostazione per la quale l’autorità del giudicato si estende «agli accertamenti che si ricollegano in modo inscindibile con la decisione e ne formano il presupposto», con la conseguenza che, in presenza di un giudicato civile sulla domanda risarcitoria per equivalente del danno da perdita della proprietà, il giudicato era da ritenere formato «anche sul regime proprietario del bene conseguente all’accertato perfezionamento della c.d. occupazione acquisitiva».
Il Consiglio di Stato ha quindi ritenuto che, nella specie, non era «più contestabile l’assetto proprietario dell’area in esame alla luce della sentenza della Corte d’appello di Milano n. 305 del 2011», con la conseguenza che i provvedimenti emessi dal Comune dovevano ritenersi legittimi.
Orbene, con il ricorso per Cassazione de quo, parte ricorrente ha sostenuto che il Consiglio di Stato, accogliendo l’appello proposto dal Comune, si sarebbe indebitamente sostituito al giudice naturale precostituito per legge, non limitandosi ad interpretare il contenuto della sentenza emessa dalla Corte d’appello di Milano all’esito del giudizio civile, ma spingendosi ad un vero e proprio intervento additivo: è stato così censurato l’asserito sconfinamento della decisione impugnata, in ciò sussistendo l’eccesso di potere giurisdizionale da parte del Consiglio di Stato, il quale avrebbe affermato che era intervenuto il trasferimento in proprietà a favore del Comune pur in assenza di una statuizione in tal senso da parte della Corte d’appello di Milano.
Le Sezioni Unite, nel dichiarare inammissibile il ricorso, hanno preliminarmente constatato che il Consiglio di Stato si è richiamato, nella decisione impugnata, alla sentenza n. 6 del 2021 dell’Adunanza Plenaria, la quale aveva stabilito che:
«(i) In caso di occupazione illegittima, a fronte di un giudicato civile di rigetto della domanda di risarcimento del danno per l’equivalente del valore di mercato del bene illegittimamente occupato dalla pubblica amministrazione, formatosi su una sentenza irrevocabile contenente l’accertamento del perfezionamento della fattispecie della cd. occupazione acquisitiva, alle parti e ai loro eredi o aventi causa è precluso il successivo esercizio, in relazione al medesimo bene, sia dell’azione (di natura personale e obbligatoria) di risarcimento del danno in forma specifica attraverso la restituzione del bene previa rimessione in pristino, sia dell’azione (di natura reale, petitoria e reipersecutoria) di rivendicazione, sia dell’azione ex artt. 31 e 117 Cod. proc. amm. avverso il silenzio serbato dall’amministrazione sull’istanza di provvedere ai sensi dell’art. 42-bis d.P.R. n. 327/2001.
(ii) Ai fini della produzione di tale effetto preclusivo non è necessario che la sentenza passata in giudicato contenga un’espressa e formale statuizione sul trasferimento del bene in favore dell’amministrazione, essendo sufficiente che, sulla base di un’interpretazione logico-sistematica della parte-motiva in combinazione con la parte-dispositiva della sentenza, nel caso concreto si possa ravvisare un accertamento, anche implicito, del perfezionamento della fattispecie della cd. occupazione acquisitiva e dei relativi effetti sul regime proprietario del bene, purché si tratti di accertamento effettivo e costituente un necessario antecedente logico della statuizione finale di rigetto» (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, n. 6/2021).
Con l’Ordinanza in commento le Sezioni Unite hanno pertanto ritenuto che il Consiglio di Stato, dando continuità al principio di diritto enunciato dall’Adunanza Plenaria, non abbia oltrepassato i limiti esterni della sua giurisdizione.
La pronuncia della Suprema Corte ha difatti statuito che il Consiglio di Stato si è espresso «in sede di ricorso ordinario avverso atti emessi dal Comune sul presupposto dell’avvenuta acquisizione dell’area. La sentenza impugnata non ha affatto riconosciuto l’esistenza del diritto di proprietà, ma si è invece limitata a darne per presupposta l’esistenza, interpretando il giudicato costituito dalla citata sentenza della Corte d’appello di Milano. In questo modo, ove anche si volesse ammettere, in via meramente ipotetica, che il Consiglio di Stato abbia commesso un errore sull’esistenza del giudicato implicito sulla proprietà, tale errore resterebbe pur sempre all’interno dei limiti della sua giurisdizione; costituirebbe, cioè, tutt’al più, un error in iudicando conseguente all’errata interpretazione del giudicato. Vizio, questo, che poteva semmai costituire oggetto di una richiesta di revocazione, davanti al medesimo Consiglio di Stato, della sentenza qui impugnata; ma che non può consentire l’ammissibilità di un ricorso alle Sezioni Unite posto in termini di superamento dei limiti esterni della giurisdizione.
Lo stesso ricorso, d’altra parte, è formulato in modo tale da evidenziare piuttosto la sussistenza di un errore nell’interpretazione del giudicato, ma non prospetta chiaramente quale sarebbe lo sconfinamento idoneo a determinare il lamentato eccesso di potere giurisdizionale.
Non deve essere dimenticato, infine, che la giurisprudenza di queste Sezioni Unite ha anche affermato, in tema di ricorso per cassazione avverso le decisioni del Consiglio di Stato, che l’eventuale violazione delle norme del codice del processo amministrativo sul vincolo alle sezioni semplici del principio di diritto pronunciato dall’Adunanza plenaria, si risolve in un ipotetico error in iudicando interno alla giurisdizione speciale, e dunque è insuscettibile di costituire motivo inerente alla giurisdizione, denunciabile in Cassazione ai sensi dell’art. 111» (Cassazione civile, Sezioni Unite, Ordinanza n. 37439/2022).