Il Presidente del Consiglio dei Ministri, mediante tre distinti ricorsi (in seguito riuniti in ragione dell’omogeneità della materia trattata) ha proposto questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1 della L.R. Marche 11 febbraio 2010, n. 7, dell’art. 5 della L.R. Veneto 16 febbraio 2010, n. 13, dell’art. 1 e 2 della L.R. Abruzzo 18 febbraio 2010, n. 3 (normativa sostanzialmente recante la disciplina in materia di demanio marittimo e rinnovo delle relative concessioni demaniali per finalità turistico – ricreative), attesa la ravvisata violazione dell’art. 117 Cost., primo e secondo comma lett. a ) ed e), sulla base del presupposto argomentativo che, le proroghe ope legis delle concessioni di tal guisa, contrastino con i principi di libertà di stabilimento e di tutela della concorrenza.
Precisamente, in estrema sintesi: l’art. 4, comma 1 della L.R. Marche 11 febbraio 2010, n. 7, prevede la possibilità di estendere la durata della concessione demaniale sino ad un massimo di venti anni, in considerazione degli esborsi economici effettuati a valorizzazione del demanio; l’art. 5 della L.R. Veneto 16 febbraio 2010, n. 13, contempla che tutte le concessioni demaniali marittime in corso a finalità turistico ricreative scadranno il 31 dicembre 2015, in coerenza al disposto dell’art. 1, comma 18, del d.l. n. 194/2009, convertito in legge n. 25 del 2010 e che, i titolari di concessione in corso di validità che abbiano effettuato esborsi per l’acquisto di attrezzature e beni mobili, possano presentare al Comune istanza di modifica della durata della concessione; infine, quanto agli artt. 1 e 2 della L.R. Abruzzo 18 febbraio 2010, n. 3, i medesimi stabiliscono rispettivamente la facoltà di estendere la durata delle concessioni demaniali per finalità turistico ricreative sino ad un massimo di anni venti in ragione degli esborsi effettuati, tanto per quelle in corso, quanto per quelle nuove relativamente alle quali sia pendente il procedimento di rilascio.
Orbene, la copiosa normativa impugnata, nel prevedere un rinnovo automatico delle predette, si rivelerebbe ostativa all’espletamento di qualsivoglia procedura selettiva finalizzata all’individuazione di nuovi concessionari, sì sostanziandosi in una palese disparità di trattamento tra gli operatori economici, ponendosi in pressoché totale spregio rispetto alla già avvenuta abrogazione dell’art. 37 del Codice della navigazione, disposizione adottata mediante il decreto Legge 30 dicembre 2009, n. 194 (convertito in legge 26 febbraio 2010, n. 25), conseguito alla procedura di infrazione n. 2008/4008 da parte dell’Unione Europea.
E’ d’uopo osservare che, la prefata norma, rispondeva ad esigenze di continuità operativa di gestione, di talchè, in presenza di una molteplicità di domande di concessione, veniva preferito il richiedente offerente maggiori garanzie di proficua utilizzazione della medesima, il quale si prefiggeva di avvalersene per un uso che, a giudizio dell’Amministrazione, rispondesse ad un più rilevante interesse pubblico, sì accordando preferenza – in sede di rinnovo – alle precedenti concessioni, già rilasciate, rispetto alle nuove istanze.
Orbene, tanto premesso, la normativa italiana – come dianzi detto – è stata oggetto di procedura d’infrazione comunitaria da parte della Commissione Europea sulla scorta del mancato adeguamento della normativa nazionale in materia di concessioni demaniali marittime rispetto a quanto all’uopo previsto dalla Direttiva di Bolkstein, (c.d. Direttiva Servizi), posto che, il rinnovo automatico delle concessioni, determinerebbe una disparità di trattamento tra gli operatori economici del settore in violazione della libertà di stabilimento di cui all’art. 43 della Direttiva ut supra.
Precipuamente, mediante la medesima, l’Unione Europea ha sancito la libera circolazione dei servizi tra gli Stati membri e la libertà di stabilimento delle attività economiche di servizi, la cui ratio si rinviene sostanzialmente nell’art. 1, a tenore del quale la Comunità mira a stabilire legami sempre più stretti tra gli Stati ed i popoli europei onde avallare il progresso economico e sociale, nell’ottica del raggiungimento del quale l’eliminazione delle barriere allo sviluppo del settore dei servizi tra Stati membri costituisce uno strumento indefettibile ed essenziale per rafforzare l’integrazione fra i popoli europei e per promuovere un progresso economico e sociale equilibrato e duraturo: “nell’eliminazione di questi ostacoli è essenziale garantire che lo sviluppo del settore dei servizi contribuisca all’adempimento dei compiti previsti dall’articolo 2 del trattato di promuovere nell’insieme della Comunità uno sviluppo armonioso, equilibrato e sostenibile delle attività economiche, un elevato livello di occupazione e di protezione sociale, la parità tra uomini e donne, una crescita sostenibile e non inflazionistica, un alto grado di competitività e di convergenza dei risultati economici, un elevato livello di protezione dell’ambiente ed il miglioramento della qualità di quest’ultimo, il miglioramento del tenore e della qualità della vita, la coesione economica e sociale e la solidarietà tra Stati membri.”, principio ulteriormente puntualizzato all’art. 12, a tenore del quale “ la presente direttiva è volta a creare un quadro giuridico per assicurare la libertà di stabilimento e la libera circolazione dei servizi tra gli Stati membri…”.
Orbene, sulla scorta delle prefate, dispiegate argomentazioni, la Corte, mediante la sentenza n. 213/2011, ha provveduto alla declaratoria di illegittimità costituzionale della normativa censurata (ad eccezione dell’art. 4, comma 2 della L.R. ut supra richiamata, il quale prevede che, la Giunta regionale, stabilisce i criteri e le modalità per il rilascio ed il rinnovo delle concessioni demaniali), considerato il contrasto con l’art. 117, primo comma Cost., attesa la ravvisata incoerenza con i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario in tema di libertà di stabilimento e tutela della concorrenza, rispettivamente contemplati dagli artt.43 ed 81 del Trattato CE, principi ritenuti violati dal censurato automatismo.