Il rinnovo dei contratti di appalto è vietato, mentre la proroga tecnica e la nuova aggiudicazione sono possibili, ma a limitate condizioni.
Il Consiglio di Stato nella sentenza in oggetto ha fornito una serie di chiarimenti sui tre istituti, infatti nella pronuncia il CdS ricorda che la disposizione che consentiva il rinnovo espresso dei contratti, l’articolo 6 della legge 537/1993, è stata eliminata dall’ordinamento.
Lo stesso divieto esclude che ad un effetto simile si possa legittimamente arrivare attraverso la proroga dei rapporti già in essere; di conseguenza, sostiene il Consiglio di Stato, si ha rinnovo e non proroga quando questa si risolve in una indeterminata prosecuzione dei precedenti rapporti con durata complessiva del rapporto pari o addirittura superiore a quella massima presa in considerazione dal diritto comunitario.
Inoltre la stesa proroga non è un istituto stabile dell’ordinamento, ma è stata prevista dall’articolo 23 della legge 62/2005, soltanto nella fase transitoria successiva all’abrogazione dell’istituto del rinnovo. Secondo il Consiglio di Stato, nel sistema delle soluzioni riferibili alla rinnovabilità, anche l’articolo 57 del D.lgs 163/2006 è una disposizione che deve essere interpretata in senso restrittivo proprio per evitare che essa possa risolversi in uno strumento per aggirare il riconosciuto divieto di rinnovo. Mentre il rinnovo del contratto si sostanzia nella replica del rapporto pregresso, la ripetizione di servizi analoghi, disciplinata dal citato articolo 57 del Codice dei contratti pubblici, richiede una nuova aggiudicazione, in forma negoziata, conforme al progetto di base.
Nella sentenza viene richiamata anche l’interpretazione che la Corte dei conti Lombardia ha dato in riferimento alla questione in oggetto, nella pronuncia n. 195/2009/par: “Non è possibile individuare a priori, in maniera definitiva e statica, una categoria di servizi pubblici a rilevanza economica, che va, invece, effettuata di volta in volta con riferimento al singolo servizio da espletare, da parte dell’ente stesso, avendo riguardo all’impatto che il servizio può avere sul contesto dello specifico mercato concorrenziale di riferimento ed ai suoi caratteri di redditività- autosufficienza economica. Spetta all’ente valutare le modalità ottimali di espletamento del servizio non con riguardo ai costi, ma al rispetto dei termini di efficienza, efficacia ed economicità, ed inoltre anche nel rispetto della concorrenza e dei livelli essenziali delle prestazioni”.
Il Consiglio di Stato sostiene che, quando un servizio pubblico a carattere commerciale si traduce in un attività economicamente rilevante per il mercato della produzione e distribuzione di beni e servizi, va assicurato il rispetto dei principi comunitari della concorrenza, quali:
- la natura degli interessi o bisogni collettivi che si intendono soddisfare;
- le modalità di erogazione;
- l’impatto che l’attività può avere sul mercato della concorrenza e sui suoi caratteri di redditività.
In quest’ottica deve ritenersi di rilevanza economica il servizio che si innesta in un settore per il quale esiste una redditività e quindi una competizione sul mercato, anche se siano previste forme di intervento finanziario pubblico dell’attività; può invece considerarsi privo di rilevanza quello che, per sua natura o per le modalità con cui viene svolta la relativa gestione, non dà luogo ad alcuna competizione e quindi appare irrilevante ai fini della concorrenza.