Con la Sentenza n. 74 del 19 gennaio 2010 il Tar di Milano si pronuncia su un avviso di selezione per lo studio e la consulenza tecnico scientifica avente la finalità di redigere gli atti costituenti il Piano di Governo del Territorio.
Poiché alla procedura erano ammessi esclusivamente istituti universitari, pubblici e privati, gli ordini professionali degli architetti lombardi ed il Consiglio Nazionale degli architetti, impugnavano gli atti di gara “per aver illegittimamente riservato la partecipazione alla procedura di affidamento alle sole istituzioni universitarie, con esclusione dei professionisti iscritti agli ordini ricorrenti”.
Il collegio, nel ritenere legittimo l’affidamento in quanto riconducibile ad un “accordo tra le parti”, sostiene di aderire agli indirizzi del giudice sopranazionale ritenendo che “il diritto comunitario consente alle amministrazioni aggiudicatici, in alternativa allo svolgimento di una procedura di evidenza pubblica di scelta del contraente, di stipulare un accordo a titolo oneroso con altra amministrazione pubblica, cui affidare il servizio”:
Tale principio trova espressa previsione nel nostro ordinamento nella legge 241/1990 la quale, all’art. 15, prevede appunto che le “amministrazioni pubbliche possono sempre concludere tra loro accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune”.
A supporto della propria decisione, il Collegio fa riferimento ad una recente sentenza della Corte di Giustizia CE (n. C-305/08 del 23 dicembre 2009) la quale precisa che sono ammesse a partecipare ad un appalto pubblico di servizi anche “soggetti che non perseguono un preminente scopo di lucro, non dispongono della struttura organizzativa di un’impresa e non assicurano una presenza regolare sul mercato, quali le università e gli istituti di ricerca, nonché i raggruppamenti costituiti da università e amministrazioni pubbliche”.
I giudici comunitari, attraverso un’interpretazione estensiva della Direttiva 2004/18/CE, e recepita dal D. Lgs. 163/2006 “Codice dei Contratti”, ribadisce il proprio orientamento dichiarando che “uno degli obiettivi della normativa comunitaria in materia di appalti pubblici è costituito dall’apertura alla concorrenza nella misura più ampia possibile e che è nell’interesse del diritto comunitario che venga garantita la partecipazione più ampia possibile di offerenti ad una gara d’appalto”.
Una diversa lettura di tipo restrittivo, comporterebbe, ad avviso della Corte, che i contratti conclusi tra amministrazioni aggiudicatrici e organismi che non agiscono in base a un preminente scopo di lucro, non sarebbero considerati appalti pubblici e potrebbero conseguentemente essere aggiudicati in modo informale, sottratti dunque alla disciplina sugli appalti.
Per i giudici comunitari, quindi, le disposizioni del Codice non possono essere interpretate nel senso di vietare a soggetti quali università ed istituti di ricerca, che non perseguono un preminente scopo di lucro ma sono volte principalmente alla didattica ed alla ricerca, di partecipare a procedure di aggiudicazione di contratti pubblici, “se gli stessi sono autorizzati dallo Stato ad operare sul mercato in funzione della circostanza che l’attività in questione sia compatibile con i loro fini istituzionali e statutari”.
In caso contrario, il divieto sarebbe in contrasto con le disposizioni della Direttiva 2004/18/CE così come interpretate dalla Corte.
Dott.ss Loretta Davanzo