La distanza di 10 metri tra pareti finestrate stabilita dal D.M. 1444/1968 prevale sulla disciplina regionale
Nota a Consiglio di Stato, Sezione Quarta, 08 maggio 2013, n. 2483
La controversia, dalla quale ha tratto origine la decisione in commento, concerneva l’impugnazione di un permesso di costruire e dell’autorizzazione paesaggistico-ambientale, aventi ad oggetto l’esecuzione di lavori di ampliamento e modifica della sagoma di porzione di fabbricato bifamiliare con innalzamento e sopraelevazione dell’intero vano sottotetto di una delle due porzioni di immobile.
Il ricorrente in primo grado, attuale appellato unitamente al Comune, aveva visto accolta in via assorbente la propria prospettazione circa la violazione delle norme sulle parti comuni dell’edificio, considerato alla stregua del condominio.
Veniva infatti ritenuto sussistente il vizio di violazione e falsa applicazione degli artt. 880, 1117 e 1122 del Codice Civile “essendo stata la villetta in questione realizzata in base ad un unico titolo edilizio ed essendo pertanto dotato di parti che non possono che risultare comuni, con la conseguenza che i lavori dovrebbero eseguirsi anche con l’assenso del comproprietario”.
Il Collegio di prime cure ha favorevolmente apprezzato la denunciata violazione delle norme sulle parti comuni di un condominio, riferendosi in particolare alle previsioni del “cosiddetto condominio orizzontale, ben note alla giurisprudenza, che comportano la dichiarazione di proprietà comune dei beni che sono destinati all’utilizzo di tutto il fabbricato”, in applicazione delle quali l’Ente Comunale non avrebbe potuto assentire i lavori edilizi in questione in assenza dell’assenso degli altri aventi diritto sul bene.
Il Giudice dell’impugnazione, non convinto della bontà delle argomentazioni del giudice di primo grado, respinge l’appello accogliendo la censura rimasta assorbita nel primo giudizio circa la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 9 del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, in quanto il progetto, difformemente dalle previsioni normative sulle distanze dalle costruzioni, prevede che i muri perimetrali della porzione di proprietà per cui era stato rilasciato il titolo impugnato distino all’incirca 7,15 metri dalle pareti finestrate della villetta confinante.
Secondo i giudici di Palazzo Spada il giudice di primo grado ha omesso di considerare alcuni aspetti che non consentono di annoverare la porzione di edificio in questione tra le parti comuni di un condominio: l’immobile è stato costruito su due lotti, ogni singola villetta è dotata di proprio numero civico e sono collocate su due quote diverse, autonome architettonicamente e strutturalmente, inoltre il titolo di proprietà non consente di accertare la sussistenza del muro di “medianza e, comunque, il tetto dell’edificio consta in realtà di due porzioni aventi forma, estensione, altezza e tipologia costruttiva diversi.
Constata il Collegio che il preponderante orientamento giurisprudenziale in materia di distanze dalle costruzioni disciplinata dall’art. 9 del D.M. 1444/1968, che impone la distanza di 10 metri tra parete finestrata e corpo edificato, ritiene che tale norma sia di ordine generale, prevalente anche sulla disciplina regionale – che nel caso concreto derogava alla disciplina statale – eventualmente difforme e che “va pertanto applicata anche a corpi distinti di un’unica costruzione, ivi dunque compresa l’ipotesi di sopraelevazione”.