Le deroghe alla disciplina civilistica delle distanze è consentita qualora sia giustificata dall’esigenza di soddisfare interessi pubblici legati al governo del territorio
Nota a sentenza della Corte Costituzionale, n. 6 del 23 gennaio 2013
La Corte Costituzionale è intervenuta, con la sentenza in commento, nell’annosa questione della derogabilità o meno del D.M. 1444 del 1968 da parte della normativa territoriale locale dichiarando, nel caso di specie, l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, della Regione Marche 4 settembre 1979, n. 31 (Interventi edificatori nelle zone di completamento previste dagli strumenti urbanistici generali comunali).
La Corte è tornata nuovamente a decidere sui rapporti tra legislazione statale e regionale in tema di distanza tra fabbricati.
A sollevare d’ufficio la questione di legittimità costituzionale di questa disposizione regionale, per violazione dell’articolo 117, secondo comma, lettera l), e terzo comma, della Costituzione, era stata la Corte di Cassazione.
La Corte costituzionale ricorda che “la regolazione delle distanze tra i fabbricati deve essere inquadrata nella materia ordinamento civile, di competenza legislativa esclusiva dello Stato (sentenze n. 114 del 2012, n. 173 del 2011, n. 232 del 2005). Infatti, tale disciplina attiene in via primaria e diretta ai rapporti tra proprietari di fondi finitimi e ha la sua collocazione innanzitutto nel codice civile. La regolazione delle distanze è poi precisata in ulteriori interventi normativi, tra cui rileva, in particolare, il citato D.M. n. 1444 del 1968”.
Tuttavia, aggiungono i giudici della Consulta, ricordando la giurisprudenza costituzionale in materia la quale che ha altresì chiarito che, poiché “i fabbricati insistono su di un territorio che può avere rispetto ad altri, per ragioni naturali e storiche, specifiche caratteristiche, la disciplina che li riguarda, ed in particolare quella dei loro rapporti nel territorio stesso, esorbita dai limiti propri dei rapporti interprivati e tocca anche interessi pubblici (sentenza n. 232 del 2005), la cui cura è stata affidata alle Regioni, in base alla competenza concorrente in materia di governo del territorio, ex art. 117, terzo comma, Costituzione”.
Pertanto, in linea di principio la disciplina delle distanze minime tra costruzioni rientra nella materia dell’ordinamento civile e, quindi, attiene alla competenza legislativa statale; alle Regioni è consentito fissare limiti in deroga alle distanze minime stabilite nelle normative statali, solo a condizione che la deroga sia giustificata dall’esigenza di soddisfare interessi pubblici legati al governo del territorio.
Quindi, anche se non può essere del tutto esclusa una competenza legislativa regionale relativa alle distanze tra gli edifici, essa è rigorosamente circoscritta dal suo scopo, la disciplina del governo del territorio, che ne detta anche le modalità di esercizio.
Pertanto, la legislazione regionale che interviene in tale ambito è legittima solo in quanto persegue chiare finalità di carattere urbanistico, rimettendo l’operatività dei suoi precetti a “strumenti urbanistici funzionali ad un assetto complessivo ed unitario di determinate zone del territorio”.