Il potere di vigilanza in materia urbanistico-edilizia della PA ed il silenzio inadempimento
In ipotesi di segnalazioni sottoscritte, circostanziate e documentate, l’amministrazione ha comunque l’obbligo di attivare un procedimento di controllo e verifica della cui conclusione deve restare traccia: è questo, sostanzialmente, il motivo principale a fondamento dell’impugnazione dell’inerzia di un Comune il cui comportamento incide in maniera fortemente pregiudizievole sull’attività di un’azienda agricola cliente dello studio.
La vicenda nasce dall’impugnativa, in prima istanza, di una delibera consiliare con la quale è stato approvato un piano di lottizzazione da insediarsi nelle immediate vicinanze del terreno dello società agricola ricorrente.
Veniva infatti lamentata la violazione e falsa applicazione del Regolamento Locale di Igiene Tipo della Regione Lombardia, in quanto non era garantito il rispetto del vincolo di distanza minimo tra allevamenti di suini e zone edificabili.
In pendenza del ricorso avanti il Tribunale Amministrativo Regionale, veniva depositata presso l’Amministrazione Comunale rituale istanza di apertura del procedimento amministrativo finalizzato all’esercizio del potere di vigilanza urbanistico-edilizia, in quanto erano stati avviati i lavori per la realizzazione delle opere di urbanizzazione previste nel piano attuativo.
Giova preliminarmente ricordare che, a mente di quanto espressamente stabilito dall’art. 27, comma 1, del D.P.R. n. 380/01, l’Amministrazione comunale esercita la vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia svolta nel proprio territorio, a seguito del cui esercizio ha l’obbligo di dare in ogni caso seguito tramite l’emissione di un provvedimento espresso, e ciò alla luce del principio generale della doverosità dell’azione amministrativa, integrato con le regole di ragionevolezza e buona fede.
Tale obbligo è altresì evidente ai sensi dell’art. 2, comma 1, della Legge n. 241/90, a mente del quale “ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad un’istanza (…) le pubbliche amministrazioni hanno il dovere di concluderlo mediante l’adozione di un provvedimento espresso”.
In particolare, nell’eventualità di violazione dell’obbligo di cui alla richiamata normativa, si configura un’ipotesi di silenzio inadempimento che legittima il soggetto interessato ad esperire il ricorso avanti la competente Autorità Giudiziaria.
Deve evidenziarsi che l’originario orientamento restrittivo della giurisprudenza, in base al quale il silenzio può formarsi solo ove un obbligo giuridico di provvedere derivi da una norma di legge, da un regolamento o da un atto amministrativo, è stato sottoposto a rivisitazione critica, affermando che tale obbligo non deve necessariamente derivare da una disposizione puntuale e specifica, ma può desumersi anche da prescrizioni di carattere generico o dai principi generali regolatori dell’azione amministrativa.
Afferma quindi la giurisprudenza che, a prescindere dall’esistenza di una specifica disposizione normativa impositiva dell’obbligo, si ritiene il medesimo sussistente in tutte quelle fattispecie particolari nelle quali ragioni di giustizia e di equità impongano l’adozione di un provvedimento; quindi, tutte quelle volte in cui, in relazione al dovere di correttezza e di buona amministrazione della parte pubblica, sorga per il privato una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni di questa.
Sulla scorta delle suesposte argomentazioni, su mandato dell’azienda agricola lesa, è stato depositato ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale, affinché venga accertata l’illegittimità del silenzio inadempimento serbato dal Comune e venga, altresì, dichiarato l’obbligo sussistente in capo all’Amministrazione comunale di provvedere al riguardo.