Interversio possessionis: la dimostrazione dell’intervenuto mutamento del titolo da detenzione a possesso grava su colui che invoca l’avvenuta usucapione
Il principio giuridico alla base della sentenza in commento è quello dell’interversione del possesso di cui all’art. 1141, comma 2, del Codice Civile, che consente al detentore di trasformarsi in possessore, anche ai fini del verificarsi dell’usucapione, mediante un mutamento del titolo o l’intervento di una causa proveniente da un terzo.
All’origine della vicenda vi è un soggetto il quale ha citato in giudizio i proprietari di alcuni terreni affinché venisse dichiarato proprietario a seguito di intervenuta usucapione per avere lo stesso posseduto detti beni pubblicamente, pacificamente ed ininterrottamente per oltre venti anni.
Si costituivano i proprietari assistiti dallo studio legale i quali, pur non contestando la materiale detenzione del fondo da parte dell’attore, assumevano che il terreno fosse nella disponibilità dello stesso in ragione di un originario contratto di custodia, con conseguente inoperatività dell’interversione del possesso di cui al secondo comma dell’art. 1141 c.c., il quale consente di presumere il possesso di colui che esercita il potere di fatto, ove non si provi che l’esercizio di questo sia cominciato come mera detenzione.
Inoltre, a sostegno delle proprie ragioni, i convenuti proprietari assumevano che la fruizione del fondo era avvenuta per mera tolleranza in forza di rapporti di familiarità in corso tra le parti.
L’aspetto che assumerà rilievo in sede di giudizio di legittimità è la rilevanza attribuita ad una raccomandata, inviata dai proprietari dei terreni al detentore, con la quale venivano offerti in vendita i beni e mai riscontrata dallo stesso.
Il Giudice di prime cure, nell’accogliere la domanda dell’attore-ricorrente, ha escluso la rilevanza della lettera in senso contrario alla presunzione di possesso ritenendo che, in quanto atto di provenienza di parte convenuta, questo non richiedeva di essere necessariamente riscontrato e, pertanto, la mancata risposta del destinatario non assume alcun effetto ricognitivo favorevole ai proprietari.
Di diverso avviso è il Giudice dell’impugnazione il quale ha ritenuto che proprio la lettera inviata al detentore del fondo dai proprietari abbia rilevanza ai fini dell’assenza dell’animus possidendi, indispensabile affinché si possa configurare il possesso utile ai fini dell’usucapione.
Se è vero, infatti, che in base al disposto dell’articolo 1141 c.c., in mancanza di prova contraria si presume che chi esercita il potere di fatto sulla cosa lo faccia a titolo di possessore e non di detentore, l’assenza di qualunque contestazione da parte dell’attore verso una comunicazione nella quale i proprietari lo qualificavano espressamente come custode, impone di ritenere che in tal modo lo stesso abbia ammesso quanto sostenuto dai proprietari, vale a dire di avere iniziato a possedere come detentore, e non come possessore.
La conclusione della Corte d’Appello è stata ritenuta ineccepibile dalla Corte di Cassazione perché conforme al consolidato orientamento in base al quale non poteva ritenersi operante la presunzione di possesso di cui all’art. 1141, comma 1, c.c. in colui che esercita il potere di fatto sulla cosa, poiché nel caso di specie “l’esercizio di tale potere non era conseguito ad un atto volontario di apprensione, bensì ad un atto o fatto del proprietario possessore”.
Incombeva pertanto al ricorrente la dimostrazione della c.d. interversione del possesso in grado di mutare il titolo originario da detenzione a possesso, ai sensi del comma 2, dell’art. 1141 c.c., gravando l’onere della prova su colui che invochi l’avvenuta usucapione del bene.
Accogliendo pertanto la tesi difensiva rappresentata alla Suprema Corte negli atti ritualmente depositati in nome e per conto dei clienti, si è ottenuta pronuncia favorevole agli stessi con condanna altresì alla rifusione delle spese di lite.