Il concetto di “pregiudizio” ai fini dell’applicazione della sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria e ripristinatoria
La vicenda controversa, in materia edilizia, riguarda la demolizione delle opere realizzate in difformità dal titolo edilizio.
La quaestio juris attiene al concetto di “pregiudizio” così come utilizzato dal legislatore nel secondo comma dell’art. 34 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, al ricorrere del quale può essere applicata la sanzione pecuniaria in luogo della demolizione.
Prevede infatti la norma menzionata, rubricata “Interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire”, che:
1. Gli interventi e le opere realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire sono rimossi o demoliti (…);
2. Quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell’ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione (…);
2-bis. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche agli interventi edilizi di cui all’articolo 22, comma 3, eseguiti in parziale difformità dalla denuncia di inizio attività.
Come si evince dalla lettura della norma, il legislatore ha previsto che la sanzione primaria in caso di opere abusive sia la demolizione delle stesse al fine del ripristino della legalità violata (comma 1); solo in subordine, ovvero nel caso in cui la demolizione arrechi pregiudizio alle parti conformi al titolo edilizio, è possibile convertire la demolizione in sanzione pecuniaria, che rimane pertanto assoggettata alla valutazione di natura tecnico-edilizia-strutturale del dirigente o responsabile dell’ufficio comunale preposto (comma 2).
Tanto premesso, oggetto della controversia in esame risulta essere una struttura in legno/cemento, definita “tettoia”, collegata funzionalmente all’edificio principale, alla cui demolizione conseguirebbero danni alle strutture sia di fondazione che di copertura, nonché con possibili tensioni nei materiali di costruzione che potrebbero sfociare in spostamenti anche consistenti delle altre strutture del fabbricato.
Ciò premesso, occorre previamente evidenziare che a mente di quanto stabilito dall’art. 31 del T.U. Edilizia gli “interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali” comportano (comma 2) la rimozione o la demolizione dell’opera abusiva o, se il proprietario non provvede alla demolizione e al ripristino, l’acquisizione gratuita al patrimonio del Comune.
Un tradizionale orientamento giurisprudenziale ritiene che per determinare il carattere essenziale o meno di una variante al titolo edilizio, si debba avere riguardo al risultato complessivo dell’intervento costruttivo, valutando l’insieme delle modificazioni apportate al progetto originario; costituisce poi “variante essenziale” ogni variante incompatibile con il disegno globale ispiratore del progetto edificatorio originario sia sotto l’aspetto qualitativo che sotto l’aspetto quantitativo.
In ogni caso, ai sensi dell’art. 32 del D.P.R. 380/2001, possono aversi variazioni essenziali “esclusivamente” nelle ipotesi espressamente indicate.
Non costituiscono in alcun caso variazioni essenziali quelle che incidono sulle cubature accessorie, sui volumi tecnici e sulla distribuzione interna delle singole unità abitative.
Tali interventi, che configurano la realizzazione di un quid novi, richiedono l’ottenimento di un nuovo titolo abilitativo, la cui assenza comporta, come anzidetto, l’applicazione della sanzione demolitoria e ripristinatoria di cui all’art. 31 T.U.
Nel caso in esame le opere abusive sono da ricomprendersi, invece, nella nozione di cui all’art. 34 del D.P.R. 380/2001 in quanto eseguite “in parziale difformità dal permesso di costruire”, il cui testo (comma 2) ammette l’applicazione della sanzione pecuniaria, in luogo di quella demolitoria, “quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità”.
Infatti, all’esito di perizia tecnica, è risultato che la porzione di edificio legittima subirebbe un rilevante pregiudizio statico dalla demolizione della parte abusiva, da cui discente l’obbligo per il Comune di convertire la demolizione in sanzione pecuniaria.
A giudizio del Consiglio di Stato, la norma citata va interpretata – in conformità alla natura di illecito posto in essere e alla sua valenza derogatoria rispetto alla regola generale posta dal primo comma – “nel senso che si applica la sanzione pecuniaria soltanto nel caso in cui sia “oggettivamente impossibile” procedere alla demolizione; deve, pertanto, risultare in maniera inequivoca che la demolizione, per le sue conseguenze materiali, inciderebbe sulla stabilità dell’edificio nel suo complesso.
Si aggiunga che, in linea con il consolidato orientamento giurisprudenziale, l’Amministrazione è chiamata ad operare la scelta tra sanzione demolitoria e sanzione pecuniaria valutando preventivamente rispetto all’ingiunzione di demolizione, se la stessa possa avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità.