Destinazione d’uso principale e complementare: la seconda può coesistere con la prima all’interno della medesima area presa in considerazione
La vicenda giudiziaria brevemente riassunta nella presente nota concerne l’impugnazione, per conto di un assistito dello studio legale, di un provvedimento amministrativo con il quale il Comune ordinava il ripristino della destinazione d’uso dell’immobile di proprietà, in conformità con lo stato del suolo e sottosuolo ai sensi del D. Lgs. 152/2006, nonché la cessazione dell’utilizzo in essere.
In precedenza l’Amministrazione Locale inviava al ricorrente comunicazione di avvio del procedimento amministrativo, ex. art. 7 della Legge n. 241/90, finalizzata all’emissione di “ordinanza di ripristino delle destinazioni previste – Zone industriali e artigianali”, così come previsto dalle Norme Tecniche di Attuazione del Piano Regolatore Generale dell’Ente resistente.
Il Comune specificatamente contestava al proprietario l’avvenuta variazione a residenza delle destinazioni d’uso ammissibili per l’immobile in questione, in spregio a quanto previsto dallo strumento urbanistico generale per la zona di riferimento, in ragione del fatto che lo stesso proprietario, da ricerche effettuate d’ufficio, risultava ivi residente.
Con memoria predisposta ai sensi dell’art. 10 della Legge n. 241/90, venivano articolate le difese a sostegno del cliente, in relazione alla circostanza oggetto di contestazione, significando tra l’altro che il soggetto destinatario del provvedimento risulta residente in altra zona dello stesso Comune.
L’Ente Comunale, in spregio delle giustificazioni addotte, con il provvedimento opposto, ordinava all’esponente la cessazione dell’utilizzo in essere ed il ripristino della destinazione d’uso dell’immobile de quo risultante dagli atti depositati, purché compatibile con lo stato del suolo e sottosuolo.
L’atto impugnato si appalesa illegittimo e lesivo dei diritti e degli interessi del destinatario, e viene censurato sotto diversi profili: innanzitutto, l’ordinanza di ripristino veniva adottata all’esito di una fase istruttoria evidentemente carente delle necessarie approfondite indagini; il provvedimento si contraddistingue infatti per il mancato espletamento di quegli accertamenti che si sarebbero resi indispensabili a seguito, altresì, dei puntuali rilievi forniti dallo stesso ricorrente con la memoria depositata: l’esito dell’indagine avrebbe accertato una diversa residenza anagrafica.
Una puntuale esplorazione istruttoria avrebbe, in secondo luogo, rivelato che l’immobile de quo è utilizzato dalla moglie dell’esponente nel quale vi svolge attività artigianale, nel rispetto, quindi, della destinazione d’uso prescritta del vigente strumento urbanistico generale.
Viene evidenziato che, nella materia in parola, risulta di fondamentale importanza la distinzione tra destinazione d’uso principale e destinazione d’uso complementare, in considerazione del fatto che, in via generale, quest’ultima deve ritenersi comunque ammissibile nei diversi ambiti presi in considerazione, anche se non esplicitamente indicata dalla normativa all’uopo dettata.
È quindi legittimo ritenere che laddove vi sia un’unità immobiliare con destinazione d’uso artigianale, la presenza di locali deputati al ricovero ed alla dimora dei soggetti impegnati nell’espletamento dell’attività ivi svolta non possa essere messa in discussione, essendo infatti la stessa funzionale rispetto alla destinazione d’uso principale.
Non viene trascurato di rilevare che la Legge Regionale n. 12/05, nel dettare la disciplina in materia, ha enucleato alcuni principi fondamentali, tra i quali quello dell’indifferenza funzionale.
Infatti, a norma dell’art. 51, comma 1, della menzionata normativa, “le destinazioni principali, complementari, accessorie o compatibili possono coesistere senza limitazioni percentuali ed è ammesso il passaggio dall’una all’altra, nel rispetto del presente articolo, …”.
Sul punto rileva l’orientamento del Tar Milano (n. 2146/2012) il quale ricorda che secondo la giurisprudenza amministrativa il mutamento di destinazione d’uso “è rilevante se avviene fra categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico”, nel qual caso è doveroso verificare se il mutamento d’uso comporti una variazione in aumento del carico urbanistico (Consiglio di Stato, 4546/2010).
Nel caso concreto il Piano di Governo del Territorio vigente nel Comune resistente riconosce la libera insediabilità delle destinazioni d’uso nell’ambito in cui è ricompreso l’immobile del ricorrente, confermando che è ammissibile la coesistenza delle stesse, a maggior ragione in ipotesi di un loro collegamento funzionale.