La vicenda oggetto del ricorso in commento nasce quando, decorso un anno dalla presentazione di una D.I.A. volta al recupero del sottotetto esistente ai fini abitativi, un Comune notificava ordinanza di sospensione dei lavori e, successivamente, ordine di demolizione in quanto le opere in progetto sarebbero in contrasto con la disciplina sull’altezza massima delle costruzioni di cui al comma 1, art. 64, della L.R. 12/2005, che veniva impugnata davanti al Tar, in altro procedimento, al fine di ottenerne l’annullamento.
Successivamente l’amministrazione modificava il contenuto della sanzione amministrativa, configurando la violazione dell’art. 34 D.P.R. 380/2001 “interventi eseguiti in parziale difformità del mermesso di costruire” anziché, come ritiene questa difesa, la violazione dell’art. 38 del D.P.R. 380/2001 “interventi eseguiti in base a permesso annullato”.
Seppur sollecitata, l’amministrazione non ha posto in essere quelle tipiche attività mediante le quali dirimere conflitti attuali o potenziali, al fine di tutelare autonomamente la propria sfera d’azione, non ritenendo illegittimo il provvedimento emesso e pretendendo, pertanto, il pagamento di una somma ingente a titolo di sanzione amministrativa frutto di una errata applicazione della norma.
Viene pertanto in via preliminare presa in considerazione la giurisdizione del tribunale amministrativo in ordine alla cognizione delle controversie attinenti la concessione edilizia, la quale si estende anche alle liti in materia di corretta applicazione delle modalità di computo dell’entità pecuniaria delle sanzioni.
I motivi dell’impugnazione sono da ricondurre essenzialmente nella violazione di legge ed eccesso di potere, travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, violazione e falsa applicazione dell’art. 34 D.P.R. 380/2001, sviamento: la fattispecie in oggetto infatti non ricade nella norma applicata, la quale prevede, in alternativa alla demolizione, una sanzione pecuniaria, ma ricade nelle ipotesi di opere eseguite in base a permesso annullato.
Non solo, la P.A. avrebbe dovuto attivare il procedimento di autotutela ed evitare le conseduenze di una rimozione in via giurisdizionale dell’atto illegittimo, ma si è limitata ad applicare una sanzione su presupposti assolutamente errati ed illegittimi.
Ne discende la violazione e la falsa applicazione dell’art. 97 della Costituzione che impone alla pubblica amministrazione di assicurare il buon andamento e l’imparzialità del proprio agire, oltre che la correttezza come identificato dalla storica sentenza n. 500/1999.
A fronte dell’illegittimità dell’atto di irrogazione della sanzione, viene chiesto che il giudice accerti e dichiari il diritto alla restituzione delle somme indebitamente riscosse dal comune ex. art. 2033 c.c., oltre ad interessi e rivalutazione monetaria, e l’insussistenza dell’obbligo al versamento dell’ultima rata.