La vertenza in esame attiene ad un giudizio promosso da un privato – assistito dallo Studio Legale Bruno Bianchi &Partners – avanti alla Corte d’Appello di Milano per la riforma della pronuncia con cui il Tribunale di Varese, nell’accogliere la domanda volta alla condanna di parte convenuta alla demolizione dell’autorimessa e di una porzione del muro di confine edificati in violazione all’art. 9 del D.M. n. 1444/1968, ha rigettato la domanda di demolizione della tettoia, nonché la conferma dei capi della sentenza impugnati da controparte.
Con il ricorso proposto è stato eccepito che il Tribunale di Varese ha ritenuto l’assenza di parete chiusa fronteggiante quella finestrata dell’immobile di parte assistita elemento dirimente al fine di escludere l’applicabilità dell’art. 9 del D.M. n. 1444/1968. Tuttavia, l’impossibilità di considerare la tettoia de qua quale opera rilevante ai fini del computo dei dieci metri si pone in aperto contrasto con la prospettiva alla quale aderisce la più consolidata giurisprudenza secondo cui le tettoie devono considerarsi, in applicazione dell’art. 9 del D.M. n. 1444/1968, alla stregua di nuove costruzioni rilevanti ai fini del calcolo della distanza minima tra edifici, indipendentemente dall’assenza di una parete chiusa fronteggiante quella finestrata.
Le argomentazioni difensive svolte hanno trovato pieno accoglimento nella sentenza in esame, ove è stato confermato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui «Costituisce “costruzione”, ai sensi dell’art. 873 c.c., anche un manufatto che, seppure privo di pareti, realizzi una determinata volumetria ed abbia i caratteri della stabilità, della consistenza e dell’immobilizzazione al suolo. (…); Cass. n. 5934 del 14/03/2011 In relazione alle prescrizioni di cui all’art. 873 cod. civ. costituisce “costruzione” anche un manufatto che, seppure privo di pareti, realizzi una determinata volumetria, sicché – al fine di verificare l’osservanza o meno delle distanze legali – la misura deve esser effettuata assumendo come punto di riferimento la linea esterna della parete ideale posta a chiusura dello spazio esistente tra le strutture portanti più avanzate del manufatto stesso (nella specie, tettoia) -».
La Corte d’Appello di Milano, nel rigettare l’appello incidentale proposto da controparte, ha poi confermato la sentenza di primo grado nella parte in cui è stata disposta la rimozione dell’autorimessa e di una porzione del muro di confine stante l’assoluta inderogabilità delle prescrizioni dell’art. 9 D.M. 1444/1968: «Lo strumento urbanistico comunale che individui le zone territoriali omogenee di cui all’art. 2 del d. m. n. 1444 del 1968, deve osservare le prescrizioni in materia di distanze minime tra fabbricati previste, per ciascuna di dette zone, dal successivo art. 9, comma 1, avente immediata ed inderogabile efficacia precettiva. Ne consegue che, qualora nel regolamento comunale non sia stabilita alcuna distanza tra fabbricati relativamente ad una o più zone territoriali omogenee, o ne sia prevista una inferiore a quella minima prevista nel citato d.m., la disciplina dettata dall’art. 9 cit. sostituirà “ipso iure” quella difforme contenuta nel regolamento, così divenendone parte integrante e immediatamente applicabile ai rapporti tra privati; cfr. Cass. n.29732 del 12.12.2017; Cass. n.15458 del 26.7.2016-».
Parimenti, è stato giudicato irrilevante il fatto che l’autorimessa sia di altezza inferiore alle finestre poste sulla parete fronteggiante l’immobile della parte assistita in quanto «l’obbligo di rispettare una distanza minima di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, previsto dall’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968, vale anche quando la finestra di una parete non fronteggi l’altra parete (per essere quest’ultima di altezza minore dell’altra), tranne che le due pareti aderiscano in basso l’una all’altra su tutto il fronte e per tutta l’altezza corrispondente, senza interstizi o intercapedini residui; Cass. n. 24471 del 01/10/2019 In materia di distanze tra fabbricati, l’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968, che prescrive una distanza minima di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, è applicabile anche nel caso in cui una sola delle due pareti fronteggiantesi sia finestrata e indipendentemente dalla circostanza che tale parete sia quella del nuovo edificio o dell’edificio preesistente, o che si trovi alla medesima altezza o ad altezza diversa rispetto all’altro».
L’autorimessa esistente non può neppure rimanere ad una distanza inferiore ai dieci metri dalla parete finestrata fronteggiante perché nessuno dei due edifici preesistenti poteva legittimamente rimanere alla medesima distanza, in quanto entrambi realizzati nella vigenza del D.M. 1444/1968 di cui anch’essi non rispettavano la distanza prevista. Né rileva il fatto che i fabbricati preesistenti all’autorimessa siano stato oggetto di concessione in sanatoria in quanto – ad avviso dei giudici – «il titolo edilizio successivamente rilasciato ha effetti solo nei rapporti fra il cittadino e la pubblica amministrazione, regolarizzando esclusivamente da un punto di vista amministrativo l’abuso edilizio precedentemente realizzato, ma non ha alcuna incidenza sulle prescrizioni in ordine alla distanza fra edifici previste dall’art. 9 del D.M. n. 1444/1968 che attengono ai rapporti fra privati su cui non ha alcuna incidenza il titolo amministrativo».
In definitiva, la Corte di Appello di Milano ha accolto l’appello principale proposto dallo Studio Legale Bruno Bianchi &Partners e, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Varese, ha ordinato alla parte resistente la demolizione della tettoia posta a distanza inferiore a quella legale di dieci metri dalle pareti finestrate del fabbricato di proprietà attorea – oltre alla condanna al pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio – e confermato nel resto la sentenza appellata.